Ludenz, o di come ho riscoperto la critica videoludica

È il 2005 e sto traducendo un libro sui videogiochi: Silent Hill. Il motore del terrore di Bernard Perron. La collana Videoludica, di Costa & Nolan, era curata dall’ottimo Matteo Bittanti, tra i primissimi a occuparsi di videogiochi in università in Italia e, visto che frequentavamo lo stesso ateneo e che stavo scrivendo una tesi sui videogame (era il 2004 ed eravamo due bestie rare, al tempo), siamo entrati in contatto e mi ha affidato alcune traduzioni. Avevo cominciato da un anno a lavorare come traduttrice di videogiochi, mentre completavo gli studi, e tradurre i volumi della collana curata da Matteo era veramente una ventata d’aria fresca.

Vorrei che la me di oggi potesse incontrare la me di allora e raccontarle cosa sarebbe successo, da lì a poco: ma non è possibile, e la me di allora dovrà vivere tutto quello che la me di oggi conosce e non si può raccontare.


È il 2021. Sono passati quindici anni da quella traduzione. Sono successe migliaia di cose, la vita è passata invisibile ed è stata generosa con me. Ho una bella famiglia, un figlio, un compagno, ho un lavoro creativo, dei soci che sono come fratelli, ho vissuto bellissime avventure. Eppure, per raggiungere tutti questi traguardi ho attraversato percorsi che mi hanno lasciato delle ferite che si ostinano a non guarire. Non capisco come mai, mi sorprendo, ma non trovo una soluzione. Le ho ricoperte, le ho ignorate, le ho sepolte, mi sono data da fare, mi sono distratta concentrandomi su altro eppure loro, testarde, restano lì. Finché un giorno leggo un post di questa rivista indipendente su Facebook. “Ludenz”, di Luigi Marrone.

Conosco Luigi: qualche anno prima aveva intervistato Giacomo per la rivista a cui contribuiva, PlayStation Magazine, per parlare del nostro primo film, MGS: Philanthropy. Ho sicuramente ancora il numero cartaceo da qualche parte. Anzi, so esattamente dov’è: in uno scaffale in Hive Division dove conservo tutti i ricordi di MGSP.
Conosco Luigi, ma lo conosco poco: per me è una di quelle persone che “ce l’ha fatta”, che ha un ruolo chiaro nell’industria editoriale videoludica, è una persona che invidio un po’, perché, da quello che i social network lasciano trasparire, ha una posizione, ha un’identità. È una figura solida e inamovibile che sicuramente non conosce il maremoto che vivo io quotidianamente, l’instabilità, l’incertezza.

Anche se lo ricordo a PSM, decido di approfondire questo “Ludenz”: è un progetto indipendente di critica videoludica, che comprende tra le altre cose una rivista, aperiodica, che nel 2020 aveva all’attivo due numeri. Decido di ordinarli, sono curiosa. Dopo l’ordine, me ne dimentico. Passa del tempo (una settimana? Due?) e arriva un anonimo plico di libri, confezionato in quelle solite buste beige con l’imbottitura in plastica. Estraggo le riviste: sono in perfette condizioni, sembrano uscite in quel momento dalla stampa. La veste grafica è un misto tra retrogaming e sperimentale, artigianale – che per me ha sempre un’accezione positiva. Scopro che il progetto Ludenz è curato sì da Luigi Marrone, ma anche da Gianclaudio Pontecchiani (in arte Logan). Mi ricordo anche di lui: aveva disegnato qualcosa di molto bello per noi, una volta…

È con la lettura di Ludenz nel 2021 che nella mia vita (ri)cominciano una serie di coincidenze, per cui Luigi ha sempre un nome e che invece io faccio fatica ad accettare. La prima casualità è il pezzo che decido di leggere per primo in assoluto tra i due numeri, e cioè l’Editoriale del numero 2. Perché ho iniziato da lì? Non c’è un motivo, so solo che quando ho cominciato la lettura ho capito che la mia percezione di Luigi – e soprattutto di me stessa – era completamente errata. L’Editoriale del numero 2 racconta la storia vera di quello che è successo a Luigi dopo la chiusura di PSM, la “terminazione” in tronco della sua collaborazione come giornalista e dell’inizio di una nuova fase della sua vita. Non si può riassumere, quel pezzo. Va letto, e va letto tutto d’un fiato perché è un pugno nello stomaco. A volte penso che parli tantissimo della nostra generazione, di situazioni in cui noi, nati negli anni ‘80, ci siamo trovati molto spesso, insieme anche se in profonda solitudine e senza mai averne coscienza di classe.

Il pezzo di Luigi mi lacera dentro, per due motivi: empatizzo con lui, tantissimo. Sento la sua amarezza, sento il suo incassare il colpo, sento quel vuoto che conosco bene e di cui ho paura ancora oggi, il vuoto di quando finisce tutta la tua vita fino a quel momento. Io e Luigi siamo uguali e non lo sapevo, abbiamo vissuto la stessa cosa e abbiamo reagito in modo simile, anche se con percorsi diversi. Entrambi, infatti, abbiamo cercato di ricostruire quello che avevamo perso su altre basi, e cioè su basi di indipendenza e di relazioni umane più significative.
Il secondo motivo per cui l’Editoriale mi spacca il cuore è che in nessun momento della lettura provo compassione né penso a chi scrive come un fallito, epiteto quest’ultimo che rivolgo molto spesso verso di me. Osservo le sue vicende, ne soffro, colgo l’ingiustizia somma, la stortura del sistema editoriale della stampa videoludica in Italia (che proseguirà inesorabile, peraltro), mi siedo accanto all’autore a osservare tutto il vuoto che abbiamo davanti, io nel passato e lui mentre scrive, il vuoto di un futuro a cui non sappiamo che forma dare, con cosa e con chi riempire. Leggere questa storia mi rende più obiettiva anche nei miei stessi confronti: non mi dico più fallita, non mi vedo più come una reietta, ma capisco che semplicemente la mia strada era diversa. Rispetto Luigi, rispetto il suo racconto, rispetto la sua storia e vedo quello che gli è successo non come un fallimento individuale, ma come un tradimento collettivo. Ed è lì, alla fine di quell’articolo, che comincio veramente a guarire. Dopo anni da quello che mi “è successo”, dopo anni dal dolore di aver dovuto salutare Ubisoft e i miei colleghi di allora per motivi che ancora non capisco del tutto, è leggendo l’Editoriale di Memorie, il numero 2 di Ludenz che le mie ferite prima si spalancano del tutto e poi finalmente cominciano a rimarginarsi.

Questo Editoriale è un ritorno: ricordate il libro di cui vi ho parlato all’inizio, Silent Hill. Il motore del terrore? Beh, Luigi dice sempre che senza le mie traduzioni su Silent Hill per Costa&Nolan lui non avrebbe mai intrapreso la strada di critico videoludico. Lui e Gianclaudio dicono che siamo stati noi, con il progetto Philanthropy, a portarli a incontrarsi e conoscersi, a causa del nostro lavoro, e quindi, in qualche modo, a far nascere Ludenz. Io ora posso dire che senza Ludenz non avrei potuto guarire e tornare a pensare, scrivere e fare videogiochi.
Come diceva Carlo Lucarelli: “Coincidenze? Io non credo”. Ma non so che nome dare a questi eterni ritorni che forse, sul piano metafisico, hanno invece una spiegazione. Luigi ce lo potrebbe raccontare molto meglio, credo.

C’è una frase che ben sintetizza tutto quello che è successo. È di un ex presidente della Repubblica (nemmeno uno dei miei preferiti), ma rende proprio l’idea del ritorno delle cose buone che seminiamo e di cui non vediamo mai i frutti.

E un grazie per tutto ciò che fate e che non risulterà mai.

Oscar Luigi Scalfaro, 1994

Questa volta io i frutti li ho visti.


È il 2023 e ho ripreso assidui contatti con Luigi. Dopo aver letto l’editoriale gli ho scritto e l’ho chiamato. Abbiamo cominciato a parlare e a confrontarci e a condividere ed è così che ho scoperto la bellezza dietro al progetto Ludenz. È così che ho trovato il coraggio di chiedergli se potevo contribuire in qualche modo al nuovo numero di Ludenz e lui, con il suo solito fare accogliente e tranquillizzante, mi ha detto di sì, certo, che potevo, che anzi dovevo. Il tema era “Reale e Virtuale” e sono sicura che pensava che avrei scritto qualcosa del nostro cortometraggio immersivo Dreams of Blue.

Invece no. Ho pensato che quello che mi era successo con Ludenz era troppo bello e che volevo provare a far continuare questo circolo virtuoso di condivisione e di guarigione, trasformando la mia storia in un racconto: rielaborata, rimaneggiata, reinventata, con tanti inserti e un po’ romanzata. Ma chissà che non possa servire ad altre persone, per guarire.

Il racconto si chiama “Reale/Virtuale” ed è pubblicato su Virtualis, il numero 3 di Ludenz. Lo potete comprare sul sito ufficiale, ma vi lascio qui un piccolo estratto.

Prima pagina del racconto "Reale/Virtuale" di Valentina Paggiarin pubblicato su Ludenz n. 3, "Virtualis"

Ovviamente, io il racconto l’ho scritto nero su bianco, senza nessuna veste grafica. È stato Logan (che mi ha chiamato commosso dopo la lettura) a dargli l’aspetto meraviglioso e ancora più autentico che ha adesso sulla rivista. Mi capita spesso, quando penso al mio personale universo videoludico, di associare concetti come “sicurezza”, “accoglienza”, “accettazione”. Questo è il mondo dei videogiochi che conosco io, fatto di esseri umani accuratamente selezionati con cui condivido una passione fortissima e che mi hanno sempre fatto sentire al sicuro, protetta, accettata.
È questo che vorrei che fossero i videogiochi anche per gli altri: spazi sicuri, zone franche (o warpe) dove esprimersi non solo non è pericoloso ma anzi è parte di un processo collettivo di crescita. Solo nel mondo degli indipendenti ho trovato questo clima, questa vibrazione cosmica, e spero, nel mio piccolo, di contribuire a questo ecosistema che tanto amo e che tanto va coltivato e protetto.

Per quanto riguarda Ludenz: compratelo, sfogliatelo, guardatelo, leggetelo. E poi: rifletteteci sopra, apprezzatelo, criticatelo, discutetene, scrivetene, contattateci. È un progetto che nasce per fare domande, non per dare risposte, per innescare dibattito e non per pontificare. Non ci sono recensioni, non ci sono interviste superficiali, non ci sono sensazionalismi, non ci sono voti. Ci sono approfondimenti, riflessioni, si parla di psicologia, metafisica, spiritualità applicata ai videogiochi. Si fa vera cultura e critica videoludica, con calma, con il tempo, con la pazienza di chi sa aspettare, riflettere e solo dopo scrive. Ci sono contributi di Luigi ovviamente, ma anche di persone che amano i videogiochi quasi quanto me, come Luca Miranda, Andrea Sorichetti, Alessandra Arcieri, Mario Morandi, Magnus…

Questa per me è la vera critica videoludica: no, non dico che Ludenz sia tutto quello che ci basta. Ma è sicuramente quello che ci serve: una voce indipendente, originale, audace, un tentativo di esplorare con lentezza e profondità gli abissi di quello che si può nascondere dietro, dentro e sotto un videogioco.

Quindi, buona lettura. E se vorrete contribuire, potreste trovare uno spazio di vera critica videoludica che merita davvero attenzione.

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