John Doe chiude

Non posso credere che uno dei fumetti più belli degli ultimi anni, che ha saputo contrapporsi al moralismo buonista di Dylan Dog, che rievocato decenni di pop culture, ma con classe e a modo suo, che ha dipinto di colori noir, horror, da road movie e quant’altro le mie giornate e le mie nottate da tanti, tanti anni a questa parte, chiuda così, senza un preavviso (nemmeno agli autori), per ragioni sconosciute ai più.

Quindi di solito non sono il tipo da petizioni, ma questa volta sì. Sperando che quelli dell’Eura capiscano che errore stanno facendo… Non servirà  a niente, ma magari a qualcosa sì.

Qui la petizione per evitarne la chiusura!

Temo che la cosa non stia avendo molto successo. Più che altro, temo che non ci siano speranze per l’editoria (o qualsiasi iniziativa imprenditoriale e creativa) in Italia.
Che POCHEZZA.

Persepolis

Immagine da Persepolis

Persepolis, il fumetto di Marjane Satrapi: l’ho trovato una lettura illuminante (grazie a Cristina e a tutti quelli che me l’hanno ripetutamente consigliato).

Consiglio a TUTTI di leggerlo, per capire la situazione dell’Iran, come si sente la popolazione di quel paese e come, da fuori, le cose sembrano molto diverse. O forse no.

Qui trovate un breve .pdf del progetto SpreadPersepolis.com, è solo un assaggio, mentre su IBS e su Play.com trovate le versioni originali (e molto economiche).

Una delle migliori letture dell’ultimo periodo!Immagine da Persepolis

Persepolis, il fumetto di Marjane Satrapi: l’ho trovato una lettura illuminante (grazie a Cristina e a tutti quelli che me l’hanno ripetutamente consigliato).

Consiglio a TUTTI di leggerlo, per capire la situazione dell’Iran, come si sente la popolazione di quel paese e come, da fuori, le cose sembrano molto diverse. O forse no.

Qui trovate un breve .pdf del progetto SpreadPersepolis.com, è solo un assaggio, mentre su IBS e su Play.com trovate le versioni originali (e molto economiche).

Una delle migliori letture dell’ultimo periodo!

Bloomsday

“O that awful deepdown torrent O and the sea the sea crimson sometimes like fire and the glorious sunsets and the figtrees in the Alameda gardens yes and all the queer little streets and the pink and blue and yellow houses and the rosegardens and the jessamine and geraniums and cactuses and Gibraltar as a girl where I was a Flower of the mountain yes when I put the rose in my hair like the Andalusian girls used or shall I wear a red yes and how he kissed me under the Moorish wall and I thought well as well him as another and then I asked him with my eyes to ask again yes and then he asked me would I yes to say yes my mountain flower and first I put my arms around him yes and drew him down to me so he could feel my breasts all perfume yes and his heart was going like mad and yes I said yes I will Yes.”

Una delle mie ricorrenze preferite, il Bloomsday.

Far East 2009 – The Equation of Love and Death

The Equation of Love and Death
Cao Baoping crede nell’amore dolente, tragico. La sofferenza è il motore dell’uomo, secondo lui, e tutte le nostre azioni sono tentativi disperati di raggiungere una felicità  a cui però non siamo destinati. Per questo tutto il film drammatico The Equation of Love and Death ruota intorno a una giovane tassista che approfitta del suo lavoro fortemente a contatto con la gente per cercare il suo fidanzato, scomparso nel nulla quattro anni prima.

Il film ha numerosi pregi, tra cui quello di essere chiaro e di concentrarsi su personaggi ben definiti, che aiutano lo spettatore a entrare in sintonia con le loro motivazioni. Il finale è forse un po’ confuso, con motivazioni di cui non sono sicura di aver compreso l’origine e con un esito decisamente inutile. Il voto che ho dato a questo film, però, è basso, e il motivo è ideologico. Probabilmente la mia opinione non è abbastanza attendibile e non voglio che questa osservazione sembri categoria, ma quello che ho percepito mentre guardavo il film è stato inequivocabile. Il regista Baoping ha avuto non pochi problemi nell’esportare Trouble Makers, in cui denuncia la corruzione capillare all’interno della società  cinese e, probabilmente, non ha voluto ripercorrere la stessa strada di difficoltà  e ha deciso di aderire a quello che io interpreto come un terribile compromesso. La trama del film prevede un’indagine, in cui viene coinvolta anche la polizia: ora, il ritratto che il regista fa della polizia cinese è a dir poco imbarazzante: agenti gentili, al limite del sottomesso, enormemente comprensivi verso la protagonista che, in preda a crisi isteriche, li getta a terra, li aggredisce, toglie loro le sigarette dalle mani con arroganza. Il comportamento degli agenti, in generale, è assimilabile a quello di un “padre buono” che osserva con dispiacere e tolleranza i capricci del figlio in fasce. Purtroppo, per quanto poco informata, non credo che questa sia la reale natura della polizia cinese. Continuamente, nella pellicola, da quando compare la polizia, la mia attenzione è stata totalmente veicolata a quegli scambi di battute (peraltro secondari), a quelle scene d’azione, a quei momenti di silenzio il cui unico scopo era quello di sottolineare ancora e ancora la natura magnanima del corpo di polizia. Le motivazioni del cittadino sono al primo posto. La dignità  dello stato è messa in secondo piano rispetto ai sentimenti dei protagonisti. Certo, c’è sempre un’integerrima onestà  da parte di tutti i poliziotti, ma anche una profonda e umana comprensione.

Posso capire le difficoltà  del vivere in uno stato che pratica una censura così feroce.

Posso comprendere la volontà  del regista di fare liberamente il suo lavoro e di parlare con il mondo, scendendo a compromessi nel suo paese e facendo una “marchetta” (peraltro, palesemente esagerata e quasi dissacrante) al regime.

Quello che non riesco a capire è come tutto ciò possa passare sotto silenzio.

Se fare film (così come scrivere, dipingere, come ogni forma d’arte o di comunicazione) significa semplicemente confezionare un prodotto e accettare tutti i compromessi possibili pur di arrivare a venderlo, allora non posso giustificare il regista, che ha sicuramente deciso di fare di tutto perché la sua storia raggiungesse il mondo (e questo, di per sé, è un bene) svendendo però i propri personaggi e la propria ideologia, nonché la spinta di dissidenza verso il regime che, in quanto artista di fama internazionale, possiede.

Se, invece, fare film e fare arte e comunicare significa dire quello che si ritiene eticamente giusto, sfruttare la propria posizione di potere non per lodare il sistema ma per cercare di cambiare quello che secondo la nostra coscienza ci sembra non funzionare, allora questo film è un fallimento totale, perché la storia d’amore drammatica in sé non è abbastanza forte da giustificare il compromesso della “sviolinata” alle forze dell’ordine cinesi.

Perché sì, ci sono storie che sono così forti da reggere anche terribili compromessi, ma questa non è una di quelle.
Magari la prossima volta andrà  meglio.

Voto: 2 su 5

Far East 2009 – Crush and Blush

Crush and Blush
Non ho mai pensato che il fatto di arrossire per l’imbarazzo nelle situazioni più impensabili potesse essere qualcosa di così tremendo. Invece è proprio intorno a questa caratteristica della protagonsita che ruota tutto il film. Commedia prodotta da Park Chan-wook (Old Boy best film ever), la storia racconta di Me-sook, insegnante delle superiori e delle sue disavventure da outsider emarginata al liceo, prima come allieva, poi come insegnante. Tra storie d’amore inventate, identità  rubate su MSN, nottate insonni in furenti (e fasulle) sessioni di chat porno ispirate al Kamasutra, il film fa sorridere e diverte, anche se non è nient’altro che una piacevole commedia leggera.Nonostante non nutra una spiccata preferenza per il genere, la storia è godibile. Finale un po’ trascinato e decisamente prevedibile, ma il cameo di Park Chan-wook che riveste il ruolo dello sfortunato dermatologo che fa anche da psicoterapeuta alla protagonista nevrotica ripaga di qualsiasi noia.

Voto: 3 su 5