Siamo qui da sabato e subito è come essere, ogni volta, in un’altra dimensione. Si riaccende la voglia di sognare, si vedono film che altrimenti non si scoprirebbero mai, si discute, si pensa, si inventa e si scrive. E’, come sempre, la “vacanza” più creativa, un momento per ricaricare le pile del corpo con dell’ottimo cibo friulano e le pile della mente con le insostituibili pellicole del lontano Oriente.
… in modo adeguato alle circostanze, è ormai un mio tratto caratteristico, riconosciuto e sottoscritto da chiunque mi conosca da almeno una mezzora abbondante.
Così, se volete commentare il mio stellare intervento su Corriere.it, in cui ero vestita come lo sfondo (grazie Italo per avermelo fatto notare), potete postare qui!
Grazie a Federico Cella e ai ragazzi di Corriere.it!
E mentre io intraprendo la mia ennesima dieta fallimentare, sommersa tutta da problemi probabilmente inesistenti, c’è una Paola, da qualche parte, che conserva ancora molta dignità .
Se cercate “Paola Caruso sciopero fame” su Internet, se leggete il link che ho appena postato, potete facilmente capire di cosa si tratti: una giornalista precaria che, esasperata da 7 anni di contratto a progetto nella stessa azienda (il Corriere della Sera) e con la stessa mansione (giornalista), ha deciso di urlare al mondo il suo sdegno.
Io Paola Caruso non ho idea di chi sia, veramente. Mi stava anche un po’ antipatica perché è così magra pesa poco più di 40 chili (pesava), ha 40 anni e sembra così giovanile. Voglio dire, cosa ti lamenti. Invece è da sabato, quando la notizia del suo sciopero è trapelata, che seguo con morboso interesse quello che le sta succedendo. Lei vuole che si prendano provvedimenti perché chi, come lei, lavora nello stesso posto da SETTE anni sia minimamente tutelato. L’azienda risponde a spizzichi e bocconi (lo stesso direttore della testata ha pubblicato una lettera decisamente algida e scostante), le testate “ufficiali” non pubblicano niente, sono i blog, le riviste indipendenti o i siti di notizie generiche che stanno cercando di sollevare un polverone.
Polverone su diversi fatti scandalosi che, prima di lasciarmi andare a considerazioni prettamente emotive, cercherò di elencare lucidamente:
1- Il precariato come nuova forma di oppressione sociale I contratti a progetto servono per i progetti. Non per tenere gente senza diritti, al guinzaglio, per SETTE anni. Quanti anni ti ci vogliono, maledetto padroncino X di qualsiasi azienda, a capire quanto vale un collaboratore prima di assumerlo? SETTE ANNI? A me anche DUE sono sembrati tanti.
2- Che anno è? Che giorno è?
Nel 2010, in Italia, per far valere diritti minimi, come la dignità del lavoro, la gente deve fare lo sciopero della fame. Questo è deprimente. E’ disarmante. Una quarantenne che io non conosco mi sbatte in faccia una modalità di protesta dura, cattiva, pericolosa, anche arrogante, che si usa come urlo supremo per dire “Guardami negli occhi, guardami morire di fame, perché tanto o così oppure morirò tra un po’ più di tempo, ma senza dignità “. E’ anacronistico. Ed è umiliante che, nel 2010, le persone siano spinte ancora a questi livelli di esasperazione e disperazione. Mondo civile a chi?
3- La “macchina del fango” (Grazie Roberto per questa splendida definizione)
L’onta e l’infamia che si scatenano subito su chi ha osato alzare la testa. Anche dentro di me, che ho subito un trattamento analogo (non penso peggiore, ma posso capire, insomma). Penso subito: “Questa qui non l’avrà combinata giusta. Sarà lei ad essere mancante in qualcosa, se non l’hanno assunta. Alla fine non valeva così tanto”.
Sono pensieri che mi hanno fatto venire da vomitare non appena li ho formulati. Che mi fanno inorridire per quanto efficace è questo sistema che squalifica gli individui facendoli passare solo per arroganti che cercano privilegi qua e là . Perché Paola è il “fastidio”. Paola è la spina nel fianco. La voce stonata che non si rassegna. E quindi dev’essere “pazza” (cito De Bortoli che le consiglia di “ritrovare serenità e misura” e cioè di farsi vedere da uno bravo e di non dare di matto così). Dev’essere pazza, o strana, o stronza, o qualsiasi cosa squalifichi la sua opinione, perché così è più facile.
Questa quarantenne di quaranta chili, questa Paola Caruso che mai conoscerò, sta facendo PER ME, sta facendo PER TANTE, TANTE PERSONE, più di quanto non facciano i colleghi conniventi con il potere che abbassano la testa e stanno zitti quando uno entra nell’ufficio del capo e ne esce senza un rinnovo di contratto. Paola sta generosamente mettendosi alla berlina per difendere con un gesto estremo tutti quelli che sono stati lasciati soli in questi anni: dai colleghi, dai sindacati, dallo Stato, da tutti.
Perché gli individui fanno schifo, sono dei codardi, la maggior parte delle volte sono solo degli egoisti infami che si tengono stretto il proprio orticello appassito e che non danno una mano a nessuno, a meno che non si trovino in pericolo a loro volta, o che non scorgano un tornaconto personale o professionale.
Perché anche i sindacati fanno schifo, tutti concentrati a difendere 20.000 persone quando ce ne sono 20 milioni nella merda fino al collo, che non sanno nemmeno che le donne hanno diritto alla maternità se lavorano o che ammalarsi non è una colpa punibile dall’azienda.
Perché lo Stato, che poi siamo noi, fa schifo e i suoi esponenti ci hanno affossato in un paese che potrebbe essere splendido e che invece vede gente che si impegna, che lavora, in gamba, rimanere ai margini della società , povera, a chiedere aiuto alla famiglia, quando c’è, e quando non c’è ad arrangiarsi nella miseria, mentre esalta la prostituzione politica, le raccomandazioni, le furberie.
In tutto questo schifo, a me verrebbe da dire basta, ciao, getto la spugna, depongo le armi, volto pagina, qui non c’è niente per me.
Ed è qui, è proprio a questo punto che mi accorgo che Paola Caruso, che gente come Paola Caruso, si merita un applauso DUE volte: perché fa quello che fa per cambiare una situazione contingente e perché, mentre lo fa, dimostra con la sua persona e la sua coscienza, che non tutta l’umanità fa schifo, che ci sono ancora degli italiani dignitosi, che hanno valore, che lottano e che ti difendono anche se non ti conoscono.
Io, cara Paola Caruso, non ti conosco, ma ti vorrei abbracciare, senza stritolarti, però (e ricomincia a mangiare, anzi vieni qua che ti faccio qualcosa di buono, in barba alla mia dieta), e ti voglio dire grazie perché non mi sento più sola, perché tu (più forte e più caparbia di me, senza dubbio) hai alzato una voce in mia difesa, senza neanche sapere chi sono, senza neanche sapere cosa faccio, ma lo hai fatto, ed è un gesto che non può e non deve passare inosservato.
Post scriptum: io sto bene. Sono una di quelle che sta bene. Posso dividere le disavventure (e le spese ^_^) con qualcuno di speciale, ho una famiglia pronta a sostenermi se sto per cadere, ho degli amici che mi stanno accanto e, infine, ho anche un lavoro da traduttrice e autrice freelance che mi piace tanto. E freelance vera, non quelle che devono dirsi freelance ma poi lavorano in ufficio. Io sono una fortunata. Le cose che mi sono successe negli ultimi anni e che pensavo “brutte” sono servite in realtà a farmi crescere, alcune hanno fatto male, ma le cicatrici non si vedono quasi più. Io sono fortunata. E forse è perché non sono abbastanza disperata che non ho fatto come ha fatto Paola Caruso. O forse, meglio, perché non sono altrettanto in gamba.
Intendo, nel corso della storia. Esattamente, cos’è successo a Ginevra? Un sacco di cose, suppongo, e io le ignoro tutte, perché sono un’ignorante, nel senso, appunto, che ignoro.
Abbiamo presentato il film in lungo e in largo, qui in Italia, a diversi eventi, ma all’estero mai, questa è la prima volta che “espatriamo”, con tanto di gentile invito, alloggio e scarrozzo a carico degli organizzatori. Sono un po’ emozionata, se non altro perché non ho idea di come sia questo festival (a cui ci hanno invitato, non siamo stati noi a presentarci, in prima battuta), di come ci accoglieranno.
Il problema più grande, in effetti, è che ho già finito di fare la passata di pomodoro per l’inverno, quindi sarà un problema gestire gli ipotetici pomodori che la platea ci tirerà . O magari no, ci lanciano fiori e inneggiano a un’Italia che ce la può fare, visto l’impegno di alcuni suoi figli.
Insomma, c’è dell’aspettativa e molta emozione, almeno da parte mia. Giacomo è un fatalista senz’anima che prende tutto quello che arriva con tranquillità e posatezza. Io sono qui a casa con le mani sudate che mi alleno a distribuire biglietti da visita. Insomma, il tutto è alquanto comico, ma sono di ottimo umore, fuori c’è il sole e la cosa più bella è che domani viaggeremo in treno, il che significa relax e bei panorami dal finestrino.
Ci sentiamo al nostro ritorno, così vi faccio sapere com’è andata, se dovremo produrre litri e litri di passata con le verdure che ci avranno tirato o se potremo aprire un negozio da fiorista, grazie ai fiori ricevuti.
Se trovo una wi-fi, magari, aggiorno anche Twitter, per la prima volta in vita mia durante un evento…
Il giorno del mio compleanno mi sono regalata il biglietto per la prima di Black Swan al PalaBiennale, alla Mostra del Cinema di Venezia. Perché tanto sapevo che Giacomo e l’ottimo Gian sarebbero venuti con me senza colpo ferire. E così è stato. D’altra parte, quando si parla di cinema, gite insieme e giornate di chiacchiere e girovagare in completo relax, non ci tiriamo certo indietro, noi, mitico trio del Far East e di goduriose serate cinema-popcorn sempre e comunque.
Ieri è andato tutto liscio, dal cielo che era più blu del blu dipinto di blu, dai vaporetti in orario, al fatto che sono finalmente potuta entrare all’Hotel Excelsior anche se ero vestita come una sempliciotta di campagna, dagli innumerevoli panini mangiati ai VIPs avvistati. Che, a dirla tutta, non è che uno va lì per vedere attori & registi, ci vai a vedere i film, e poi scopri con estremo piacere che c’è Tarantino al bar che beve tranquillo, Stanis che si aggira tutto elegante, Danny Elfmann che rilascia dichiarazioni, Salvatores che sorride. Certo, il tutto era iniziato con Eleonora Giorgi e la Ventura che si facevano intervistare/fotografare, più la tristerrima Marina Ripa di Meana con quel cappello fallico ridicolo. Ma è pittoresco anche quello.
Comunque. Mentre stiamo andando via dall’Excelsior senza aver scroccato nemmeno uno spritz, perché siamo persone discrete, vediamo Denny Trejo che esce dall’ascensore e si dirige verso l’uscita, per andare verso la Sala Grande dove di lì a poco sarebbe iniziata l’inaugurazione. Viene assalito da gente più o meno educata. Gian si fa fare un autografo. Io constato da lontano che è proprio uguale a come appare nei film. Perché quest’uomo non solo è il mitico MACHETE, ma ha anche lavorato con il signorino Michael Mann in “Heat – La sfida”. Insomma.
Usciamo e temporeggiamo un po’, poi io in preda al delirio lascivo di questa bellissima città che è Venezia decido che voglio delle sigarette e mi tuffo saltellando dentro un tabacchino. Pacchetto da 10 a caso. Frugo nella borsa per trovare il portafogli.
In quel mentre, accanto a me, un tizio parla in inglese con la cassiera: vuole comprare una macchina fotografica usa e getta, ma non ha euro, solo dollari. Un rotolone di dollari, peraltro. Io guardo la cassiera, poi guardo lui. O-MIO-DIO! Ma è MACHETE!
Denny Trejo è di fianco a me. Avrà mille dollari in mano e la commessa non gli vende una macchinetta da 9 euro. A lui. Che è MACHETE. Voglio dire. Glielo dico anche, in effetti, alla cassiera:
“SCUSI, ma lei non sa che quest’uomo è MACHETE?!” mentre Denny Trejo mi guarda incuriosito.
Niente, la cassiera non demorde. I dollari non li vuole. Allora io che avevo giusto i soldi per le sigarette, esco, chiamo Giacomo il quale, salvifico, arriva e paga la macchinetta a Denny Trejo che, per ricambiare, mi dà cinque dollari. Me ne voleva dare 20, ma io gli ho detto No sono troppi. E poi gli ho chiesto se quei 5 dollari me li firmava. E lui ha detto “Sì, certo.”
E quindi ora mi ritrovo con 5 dollari con su scritto: “I love you. Denny Trejo – Machete”.
Gli stringo la mano. Mi ringrazia. Gli auguro di divertirsi qui. Mi stringe la mano ancora. Addio, mio amico Machete. So che quando avrò bisogno di un favore, tu sarai lì per me. O almeno mi piace pensarlo.
A parte bullarmi tutto il pomeriggio e tutta la sera per questo evento che verrà inserito per sempre nella mia mitologia personale, ci siamo visti l’ottimo Black Swan (più un altro film raccapriccio, invece, cinese) e ce ne siamo tornati di notte a casa, concludendo alle 3 con un ottimo panino-merda a Treviso.
Oggi ho un mal di testa formato famiglia, un sonno bestia, devo lavorare come non mai, ma non mi importa, perché “la Forza è con me”: ho i 5 dollari che mi ha lasciato il mio amico Machete, e va tutto bene.
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