Come al solito, la Repubblica online ci regala perle di eleganza e classe. Oggi si tratta di meravigliosi Calendari Trash. Raccomando in particolare il Calendario Cofani Funebri di cui riporto qui il migliore esempio.
Senza parole.
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Donnie Darko – Grazie al Cinema di esistere
[Spoiler]
Ebbene sì, sono tre anni che aspetto di vedere questo film e l’attesa non è stata vana.
Avevo esplorato il sito web ufficiale e non avevo capito nulla. Ero rimasta confusa, frastornata, disorientata. Però mi era rimasto addosso anche uno strano senso di inevitabile, ancora una volta, di quelle esperienze in cui ti devi imbattere e che devi capire veramente, prima o poi.
E finalmente stasera sono riuscita a vedere Donnie Darko.
Insieme di generi, insieme di messaggi, insieme di stili.
E’ un film anticonformista, ma anche dire anticonformista suona male, sta antipatico, è fastidioso, perché lo inscrive in quelle produzioni che vogliono essere anticonformiste perché “va di moda”.
Questo film è un film sulle cose che contano, nella vita. Sul senso della vita e sul capirlo a sedici anni, quando tutti ti pensano un folle psicopatico.
L’immaginazione, la pazzia, la sperimentazione, la genialità , la pazzia, l’amore, la paura, la pazzia, la scelta, la consapevolezza, la pazzia.
La pazzia è la “porta”. La possibilità di capire, quando essere pazzi potrà “salvare il mondo”.
Donnie vive nella “splendida” America degli anni ’80, piena di complessi e di false speranze, di rampante voglia di fare e di distruttivo amore per psicofarmaci e psichiatri. La normalità , l’ordinario, ecco cosa conta. La moralità , il tranquillo intorpidimento dei sensi in tutte quelle attività socialmente riconosciute e accettate.
E poi c’è Donnie, un disadattato visionario, pazzamente geniale, infilato in un mondo che critica e detesta. C’è Donnie, scheggia impazzita di un mondo che non si aspetta questo da lui, che lo vorrebbe calmo e uniformato. Che cerca di sedarlo con pillole a dosaggio doppio.
Metaforicamente, Donnie non appartiene al suo mondo, ironicamente il suo mondo non gli appartiene. Come se non bastasse, però, Donnie smette veramente di appartenere al suo mondo, ed entra in un Universo Tangente, destinato a collassare dopo 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi. E lui, sulla soglia che divide pazzia e lucidità , lo capisce, e fa una scelta. Una scelta che lo porta ad accettare. A rispondere alla domanda “Ognuno muore da solo?” e a scegliere di morire, perché ormai sa qual’è la risposta.
Un misto tra fantascienza, debiti lynchani, American Beauty all’ennesima potenza e la storia di un adolescente confuso, questo è davvero uno dei migliori 100 film della storia del cinema.
Dopo il film ho rivisitato il sito ufficiale. E ho capito molto, molto altro.
Poi mi sono fatta un deludente giro sul sito italiano (ma cosa aspettarsi in più?)
Ho letto un articolo su Metaphilm e ho capito ancora un po’.
E poi ho continuato a esplorare la rete, trovando addirittura un blog, Where is Donnie? pieno di riferimenti interessanti.
Questa invece, è una specie di “guida con le soluzioni”. Non so se consigliarla. Forse toglie tutto il fascino e il mistero al film. Io non l’ho letta, ma ho visto che c’è anche una specie di “walkthrough” che aiuta a navigare nel sito ufficiale…
Infine, dopo aver visto il film, anche questo è da leggere (non l’ho trovato tanto facilmente, ma è fondamentale). Dire che è illuminante è poco.
Vedere un film del genere al cinema è un’esperienza mistica. Come un rito. Qualcosa da provare sulla pelle, negli occhi.
Amavo il cinema già prima. Adesso ancora di più.
P.S. La canzone finale di Donnie Darko è “Mad World”, dei Tears for Fears, rifatta da Gary Jules. Per chi volesse farsi suggestionare, ancora, dopo la fine del film…
All around me are familiar faces
Worn out places, worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere, going nowhere
And their tears are filling up their glasses
No expression, no expression
Hide my head I want to drown my sorrow
No tomorrow, no tomorrow
And I find it kind of funny
I find it kind of sad
The dreams in which I’m dying
Are the best I’ve ever had
I find it hard to tell you
‘Cos I find it hard to take
When people run in circles
It’s a very, very
Mad World
Children waiting for the day they feel good
Happy Birthday, Happy Birthday
Made to feel the way that every child should
Sit and listen, sit and listen
Went to school and I was very nervous
No one knew me, no one knew me
Hello teacher tell me what’s my lesson
Look right through me, look right through me
Chissà se è stata scritta apposta per la colonna sonora o se esisteva prima. O forse, esiste proprio per essere la canzone finale…[Spoiler]
Ebbene sì, sono tre anni che aspetto di vedere questo film e l’attesa non è stata vana.
Avevo esplorato il sito web ufficiale e non avevo capito nulla. Ero rimasta confusa, frastornata, disorientata. Però mi era rimasto addosso anche uno strano senso di inevitabile, ancora una volta, di quelle esperienze in cui ti devi imbattere e che devi capire veramente, prima o poi.
E finalmente stasera sono riuscita a vedere Donnie Darko.
Insieme di generi, insieme di messaggi, insieme di stili.
E’ un film anticonformista, ma anche dire anticonformista suona male, sta antipatico, è fastidioso, perché lo inscrive in quelle produzioni che vogliono essere anticonformiste perché “va di moda”.
Questo film è un film sulle cose che contano, nella vita. Sul senso della vita e sul capirlo a sedici anni, quando tutti ti pensano un folle psicopatico.
L’immaginazione, la pazzia, la sperimentazione, la genialità , la pazzia, l’amore, la paura, la pazzia, la scelta, la consapevolezza, la pazzia.
La pazzia è la “porta”. La possibilità di capire, quando essere pazzi potrà “salvare il mondo”.
Donnie vive nella “splendida” America degli anni ’80, piena di complessi e di false speranze, di rampante voglia di fare e di distruttivo amore per psicofarmaci e psichiatri. La normalità , l’ordinario, ecco cosa conta. La moralità , il tranquillo intorpidimento dei sensi in tutte quelle attività socialmente riconosciute e accettate.
E poi c’è Donnie, un disadattato visionario, pazzamente geniale, infilato in un mondo che critica e detesta. C’è Donnie, scheggia impazzita di un mondo che non si aspetta questo da lui, che lo vorrebbe calmo e uniformato. Che cerca di sedarlo con pillole a dosaggio doppio.
Metaforicamente, Donnie non appartiene al suo mondo, ironicamente il suo mondo non gli appartiene. Come se non bastasse, però, Donnie smette veramente di appartenere al suo mondo, ed entra in un Universo Tangente, destinato a collassare dopo 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi. E lui, sulla soglia che divide pazzia e lucidità , lo capisce, e fa una scelta. Una scelta che lo porta ad accettare. A rispondere alla domanda “Ognuno muore da solo?” e a scegliere di morire, perché ormai sa qual’è la risposta.
Un misto tra fantascienza, debiti lynchani, American Beauty all’ennesima potenza e la storia di un adolescente confuso, questo è davvero uno dei migliori 100 film della storia del cinema.
Dopo il film ho rivisitato il sito ufficiale. E ho capito molto, molto altro.
Poi mi sono fatta un deludente giro sul sito italiano (ma cosa aspettarsi in più?)
Ho letto un articolo su Metaphilm e ho capito ancora un po’.
E poi ho continuato a esplorare la rete, trovando addirittura un blog, Where is Donnie? pieno di riferimenti interessanti.
Questa invece, è una specie di “guida con le soluzioni”. Non so se consigliarla. Forse toglie tutto il fascino e il mistero al film. Io non l’ho letta, ma ho visto che c’è anche una specie di “walkthrough” che aiuta a navigare nel sito ufficiale…
Infine, dopo aver visto il film, anche questo è da leggere (non l’ho trovato tanto facilmente, ma è fondamentale). Dire che è illuminante è poco.
Vedere un film del genere al cinema è un’esperienza mistica. Come un rito. Qualcosa da provare sulla pelle, negli occhi.
Amavo il cinema già prima. Adesso ancora di più.
P.S. La canzone finale di Donnie Darko è “Mad World”, dei Tears for Fears, rifatta da Gary Jules. Per chi volesse farsi suggestionare, ancora, dopo la fine del film…
All around me are familiar faces
Worn out places, worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere, going nowhere
And their tears are filling up their glasses
No expression, no expression
Hide my head I want to drown my sorrow
No tomorrow, no tomorrow
And I find it kind of funny
I find it kind of sad
The dreams in which I’m dying
Are the best I’ve ever had
I find it hard to tell you
‘Cos I find it hard to take
When people run in circles
It’s a very, very
Mad World
Children waiting for the day they feel good
Happy Birthday, Happy Birthday
Made to feel the way that every child should
Sit and listen, sit and listen
Went to school and I was very nervous
No one knew me, no one knew me
Hello teacher tell me what’s my lesson
Look right through me, look right through me
Chissà se è stata scritta apposta per la colonna sonora o se esisteva prima. O forse, esiste proprio per essere la canzone finale…
Smashing Pumpkins – Inediti?
In queste grigie giornate di musica scadente, ho appena ricevuto una lieta notizia.
Su questo utilissimo sito non ufficiale di Billy Corgan ci sono molte (ma veramente molte) canzoni inedite degli Smashing Pumpkins. Demos, b-sides, cose così. Un gioiello.
Io passerò il resto della serata in scaricamento&ascolto.
Spero di aiutare i cosiddetti “Orfani degli SP”.
Time, is never time at all,
You can never ever leave
without leaving a piece of youth…
Solidarietà tra blogger…
Io non sono toccata dal problema “Rinnovo veste grafica di Splinder” perché ho un webdesigner personale schiavizzato al mio completo servizio (ogni tanto ti devo omaggiare, Natan): ha trovato il tempo per fare un blog a me quando il suo sito ancora non esiste. Se non è amore questo!
Purtroppo non tutti si possono permettere di tiranneggiare artista, e quindi vorrei manifestare la mia piena solidarietà all’appello di Trentamarlboro.
L’innovazione “casettina faccina bustina manina” non è piaciuta a molti.
E visto che ho aderito all’appello, lo dico anche io ad alta voce:
Metal Gear Solid – Philanthropy
Quanti hanno tratto film da videogiochi? L’elenco è infinito.
C’è però questo progetto, Metal Gear Solid – Philanthropy, che merita attenzione. Realizzato da ragazzi, amatori e appassionati di cinema e vg, è un lungometraggio ispirato alla serie di Metal Gear Solid, appunto.
Per ora è possibile scaricare il trailer. Poi, piano piano, la storia andrà avanti.
Da tenere d’occhio assolutamente!
Skill – Alessandra C.
Ho scoperto questo libro perché la scrittrice era una delle relatrici della Conferenza sui Videogiochi che si è tenuta a Milano a Novembre. Ho letto un po’ la trama qua e là su qualche sito, alquanto scettica, pensando che fosse la solita storia tipo Matrix, o Existenz o insomma quel genere di realtà virtuale succedanea della realtà reale eccetera.
Invece no, questo libro è diverso, molto diverso. E’ scritto chiaramente da una persona che videogioca. E non poco. Anzi, la stessa Alessandra C. ha ammesso di essere “assuefatta” ai First Person Shooter. Gli sparattutto. Ed è proprio di questo che parla il libro. Di un Gioco, IL Gioco, che in un futoro (?) non troppo lontano è diventato il fenomeno di intrattenimento mondiale più seguito e più importante. Ha soppiantato calcio, formula 1, reality show. Tutto. C’è la Lega del Gioco, organismo invisibile e onnipotente, che controlla tutto, dal regolamento alle vite dei giocatori. Il pubblico è lo spettatore (poco) silenzioso degli scontri all’ultimo sangue che i giocatori compiono in Arene super-tecnologiche, novelli stadi post-umani.
In questo Gioco (che è in pratica una specie di Unreal, o di Quake Arena) i giocatori sono dei ragazzini giovanissimi very skilled, abilissimi, dei draghi con tastiera e mouse, che conoscono a memoria le mappe, gli armamenti, le tattiche. Il campione in carica, Skin, 23 anni, è un già troppo “vecchio”. Dovrebbe lasciare il posto alle nuove leve. E non sono solo i suoi avversari a pensarla così. Anche la Lega fa pressioni…
Oltre al tema, evidentemente videoludico, anche la struttura del romanzo è chiaramente ispirata al videogioco. I capitoli corrispondono aii vari mesi del Campionato, ma in realtà sono paragonabili a livelli da superare, attraverso i quali Skin, uno dei protagonisti, deve passare e che deve superare indenne per arrivare alla Finale. I personaggi sono caratterizzati bene, ma in modo nevrotico e compulsivo. Più che dei volti, più che delle persone, sembra di vedere degli avatar che sfrecciano davanti ai nostri occhi, desiderosi di mostrarsi e insieme di sfuggire al nostro controllo (o ai nostri colpi).
Skill è un libro elitario, secondo me: un non-giocatore non può percepire e comprendere completamente il clima di ossessione maniacale, le emozioni suscitate da un agguato o l’insonnia e le ore passate attaccati a una consolle. C’è il chiaro tentativo di descrivere a parole quello che invece è sensazione irrazionale, che dal cervello parte e contagia e permea tutto il corpo. C’è il disperato e ossessivo tentativo di descrivere la dipendenza dal Gioco (ma in realtà da qualsiasi gioco).
Alessandra ci prova, e ci riesce. Con me ci è riuscita benissimo. Mi sono rivista mentalmente intere sessioni di Half Life in multiplayer, o sanguinarie partite a Unreal, in cui un ragazzino di 12 anni mi distruggeva costantemente e senza pietà .
Un consiglio, magari, prima di leggero. Passate qualche ora in un First Person Shooter. Anche da soli. Anche contro tristi mezze-intelligenze virtuali.
Sicuramente capirete di più e “sentirete” meglio.