Alexander – Tutto meno che il film

Non è che non mi sia piaciuto. Senza infamia né lode.
Il fatto è che voglio parlare di Cinema ma non del film che ho visto.
Sì, perché ieri, al Cinelandia di Gallarate, alla proiezione di Alexander delle ore 21.00, in sala 3, si è sfiorata la strage.

Sono anni che vado al cinema.
Ho già  parlato di quanto adori la dimensione sociale dell’evento? Ossia, mi piace proprio stare in mezzo alla gente (fatto strano, per me), mi piace questa sorta di rito a cui si assiste in religioso silenzio, ha un che di “messa”, ma senza tutti quegli orpelli fastidiosi: al posto del prete che fa prediche stantie c’è uno schermo gigante che ti trascina in un’altra realtà , al posto dei vangeli ci sono spaccati di vita altrui, al posto dell’eucaristia c’è il pop corn. Insomma, come la chiesa, ma meglio.

Solo che ieri ho davvero rischiato di compiere un efferato eccidio.

Ehi, tu, caro amico con il maglione nero e i jeans che sedevi accanto a me, tu e quei due poveri disgraziati dei tuoi compari avete rischiato di essere sgozzati nel buio della sala e di versare il vostro sangue sul mio volto proprio come il sangue dei persiani ha macchiato il viso di Alessandro.
Perché io posso capire tutto, ma alcune cose no.
Per esempio. Come si fa a biascicare la gomma da masticare ininterrottamente per tre ore e dieci? Com’è fisicamente possibile?
GNAM GNAM GNAM, ancora un po’ quello della prima fila saliva e ti chiedeva di fare più piano. Ma tu, amico dalla mandibola d’acciaio, tu non hai desistito e, per tre ore, anche nei combattimenti più feroci, anche durante le urla più strazianti, io ho sentito te, la tua saliva e la tua disgustosa gomma ammuffita nelle mie orecchie.
E non è tutto.
Voi due, compari dell’amico biascicante, tutta la sala (ma proprio tutta) ha capito: non siete omosessuali. Sono anche un po’ affari vostri, ma potevate evitare, per rispetto verso voi stessi e verso gli altri, di fare versi degni di animali in calore ogni volta che si assisteva ad una scena minimamente intima tra Alessandro ed Efestione.
Bene, vi infastidisce l’omosessualità  maschile, perfetto, ognuno fa le proprie scelte. Ma, in questo frangente, mi siete sembrati molto Tito Lucrezio Caro che, nel De Rerum Natura,, cercando di dimostrare di non temere la morte, ha fatto in realtà  capire di pensarci più del dovuto.
E’ un concetto difficile da comprendere, per voi? Certo, certo, lo so, è stata una serata dura, tante cose complicate e al di sopra delle vostre possibilità  in una volta sola: l’omosessualità  (ancora?!), le strategie degli eserciti, il fatto che Alessandro venisse chiamato affettuosamente “Achille” da sua madre…
Insomma, sono convinta che non avete capito una mazza del film ma… PERCHE’ AVETE VOLUTO CONDIVIDERE LA VOSTRA IGNORANZA CON TUTTI NOI PRESENTI? Soprattutto… PERCHE’ NON SIETE ANDATI A VEDERE PER LA SEDICESIMA VOLTA MERRY CHRISTMAS CON BOLDI E DE SICA?

Scusate. Forse non avete capito nemmeno quello, di film…

Shrek 2

[Spoiler]
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A volte penso che se da piccola avessi visto cartoni animati del genere sarei stata più felice di essere me e avrei sofferto meno per tutte le mie diversità .
Perché alla fine, grazie tante, è facile essere felici perché si diventa qualcos’altro: e la Sirenetta diventa Umana, e la Bestia torna Superfigo, e Aladdin diventa Re, e Cenerentola diventa Principessa.
No, dico, c’è da pensarci. Nel mondo delle fiabe tutti vivono felici e contenti perché una magia sovrannaturale e a volte immeritata risolve ogni situazione.
Ma soprattutto perché si smette di essere quello che si era e si diventa qualcosa di migliore, di oggettivamente “bello”, “buono”, “accettato”.
E la mente dei bambini è strana. Alla fine uno arriva a pensare che per essere felici è necessario smettere di essere se stessi e trasformarsi in qualcun altro. Non è proprio il massimo. Io farei causa alla Disney, ai fratelli Grimm e a Perrault per tutte le sedute di psicanalisi a cui ci hanno costretto.
Ora, c’è chi ha amato più lo Shrek originale e che dice che questo secondo “ha ben poco da dare e da dire in più.” Secondo me non è vero.
Shrek 2 era necessario.
Perché è necessario continuare a dire certe cose, a dire che anche se siamo grassi, antisociali, scontrosi e con mille piccole manie (e, non di meno, siamo verdi e orchi) possiamo essere felici. Che non sono necessarie pozioni, filtri, fate madrine bastarde e risolutive, ma che dobbiamo accettare noi stessi, fin da piccoli, fin da bambini, senza pensare che arriverà  un maledetto deus ex machina che cancellerà  quello che siamo e ci trasformerà  in essere eterei e perfettamente felici.
Mi piace, quell’orco, per tanti motivi. Perché mi ricorda certe persone che conosco e a cui voglio bene. Perché mi ha insegnato, a 24 anni, ad essere felice nella mia forma e a non sognare di diventare una principessa disoccupata o una sirena frustrata in terra.
E poi mi fa ridere. Quando qualcuno insegna qualcosa e riesce insieme a far sorridere e ridere allora rimarrà  davvero nella memoria per sempre.

Beh, insomma, se c’è qualcosa che val la pena vedere e far vedere sono proprio queste anti-fiabe. Che poi, il concetto di “anti” è sempre stato malvisto. Personalmente, io “malvedo” di più delle principesse “salvate” dalla loro bellissima vita normale, destinate a fare le casalinghe-cortigiane per il resto della loro esistenza.
Ma è soltanto un’opinione, la mia.

Birth – Io sono Sean. Ah, beh, allora…

[Spoiler. Ma probabilmente non vedrete mai questo nauseabondo prodotto cinematografico]
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Perché comprare costose fruste o bruciarsi le carni con mozziconi di sigaretta? Masochisti del mondo, unitevi e, al solo costo di un biglietto del cinema, potrete farvi più male di quanto non avreste mai pensato.
Ebbene sì, è un film per gente che vuole soffrire. E no, non so parlando di quel tipo di sofferenza interiore, quel rimescolio di viscere e quell’inquietudine che ti lasciano i bei film. No, questa pellicola triturapalle diretta da Jonathan Glazer non ha ragion d’essere.
Non riesco nemmeno a descrivere questo suicidio cinematografico come un incrocio di generi, non riesco ad operare tipo dottor Frankenstein su qualche soap opera o scadente b-movie esoterico sentimentale per creare un fantoccio virtuale che renda l’idea di cosa poteva essere. Una noia infinita, priva di qualunque senso, priva di qualunque pathos, suspance, curiosità . Devo ricordarmi, una volta per tutte, che se il trailer del film mi sembra anche solo minimamente interessante allora il film sarà  una bioata.
E così è stato, appunto.
Una Nicole con inutile capello corto, gambe più secche che mai. Donna di classe (d’altra parte lei lo è anche nella realtà ), appartiene all’alta società  newyorkese ma nonostante ciò si veste come una vecchiaccia di cent’anni, con abiti demodé e colori mortiferi.
Un bambino monoespressivo, poverino, si vede che aveva una paresi.
Un marito morto.
Un pretendente trattato a pesci in faccia da tutti, persino dal bambino con la paresi facciale.
Una trama che si capisce nel primo quarto d’ora, tutta, completa.
Peraltro, mi sentivo anche in colpa: avevo convinto una mia amica, Serena, a venire a vedere proprio quel film, anche se lei non era proprio convinta. Brava, Vale, brava, i complimenti.
Quindi ho passato un’ora e quaranta di film in una lenta, maledetta agonia, da una parte per il senso di responsabilità  che si ha quando si sceglie un film di merda, dall’altra perché le inquadrature infinite sui volti degli attori con musica più o meno inquietante in sottofondo mi hanno fatto quasi impazzire.
Quindi, no, non andate a vederlo.

E sì, il bambino è solo un mitomane che trova delle lettere scritte dal marito morto e si impara tutta la storia e si immedesima e fa finta di essere lui, ma poi alla fine non lo è, però comunque ama Nicole (come non amarla?).

Deprimente.

Dali' – Venezia, dicembre 2004

dali_biglietto
Una mattina alle cinque ho preso un treno con mia sorella e sono andata a Venezia per vedere la mostra di Dalí. Questa è un’altra storia, ma la mostra merita sicuramente qualche parola.

Anche solo arrivare alla sede della mostra, Palazzo Grassi, è suggestivo: si deve attraversare Venezia di dicembre, piena di mercatini natalizi, di negozi addobbati a festa, di strade silenziose e labirintiche.
Io e Giulia ci prepariamo mentalmente già  durante il percorso, per farci travolgere dalla fantasia immaginifica dello spagnolo coi baffi all’insù.

La mostra era organizzata in modo coerente, divisa per periodi, dalle prime opere e le prime ispirazioni fino alle sperimentazioni e gli studi più recenti.
Un Paranoico Critico, ecco cos’era Dalí. E non sono io a dirlo, ma egli stesso si definiva in questo modo. Era grazie alla sua Paranoia Critica che riusciva a guardare il mondo diversamente, a scomporlo secondo le nuove teorie della relatività  appena scoperte e diffuse da un altro genio. Era grazie alla sua pazzia accettata come tale, inesorabilmente, e, anzi, sfruttata, accresciuta, stimolata, che è riuscito a produrre opere così visionarie e poliedriche.
Insieme alla costante disgregazione della materia, sono sempre presenti inquietanti ambiguità  nelle proporzioni. Osserva tutto con occhi nuovi, riconfigura gli oggetti e le loro funzioni. In un periodo, prende addirittura il corpo come metafora dell’archiettura, e costruisce schiene e dorsi di amanti sulla base armonica ed equilibrata di cupole di cattedrali. Passa a fasi più grottesche, in cui il corpo mutilato viene esposto in un equilibrio precario. La fisicità  viene scomposta e sezionata, ma non solo attraverso una geometria scientifica: Dalí lascia emergere anche le proprie viscere, sulla tela, fa sì che il sangue, il fango, la mente, l’immaginazione assoluta contaminino l’arte.
Interessante è l’accanimento critico nei confronti di Piet Mondrian. Dalí vuole inserire sangue ed elementi morbidi nella rigidezza pittorica di una certa corrente artistica, che egli non apprezza e in cui non si riconosce. Professa il caos come base assoluta della creazione (sia reale che artistica).
La sua Concretezza Irrazionale si sostituisce allo sterile perfezionismo che egli tanto disapprova. Il fatto che alla base dei suoi dipinti, in fondo, quasi inconsciamente, stiano la teoria atomica e la psicanalisi, novelle scoperte del 1900, è fortemente indicativo: Dalì cerca l’anima dell’uomo nella scomposizione fisica, ma non solo. Indaga irrazionalmente, seguendo un percorso in cui la guida è la sua fantasia sfrenata.
Certo, bisogna ricordare che alle spalle del genio c’era un artista che si è dedicato unicamente e per tutta la sua vita all’arte. Era un personaggio in grado affascinare il pubblico, accattivante, istrionico, che sapeva trasformare l’occhio di una statua neoclassica su una rivista patinata nella sua bocca baffuta e ghignante.
Mi sono resa conto di quanto sia faticoso seguire una mostra dei suoi dipinti. Non per altro, è che ognuno avrebbe bisogno di ore di contemplazione, un esempio su tutti, l’Enigma senza fine. All’interno di questo dipinto ci sono svariate figure (un levriero, un saggio che legge con la testa piegata, una donna di spalle, e altre) ed è alquanto complicato individuarle tutte.
Questi giochi ottici sono un tema ricorrente, i quadri nascondono più di quello che l’occhio può percepire ad una prima occhiata, hanno bisogno di un’analisi dettagliata, che però va oltre alla razionalità  dell’analisi formale e stilistica, prevede anche una sorta di immedesimazione fluente, di abbandono estatico e di coinvolgimento fisico.
L’opera che personalmente preferisco è La tentazione di Sant’Antonio dali_tentazione_santantonio_small: la trovo potente, incombente, mi ha trasmesso un vivo senso di fatica e di oppressione dell’uomo da potenze e tentazioni, appunto, più grandi di quanto si possa tollerare. Questo quadro mi causa una sensazione di smarrimento, in una parola è sublime. Sublime nel senso classico del termine, ossia affascinante, da cui è impossibile distogliere lo sguardo, che quasi ipnotizza e cattura, ma che insieme spaventa, destabilizza, fa quasi tremare. La leggiadria e la pesantezza si alternano incomprensibilmente, lasciando l’osservatore (o meglio, lasciando me) aggrappato con gli occhi e con la mente a un’enormità  deforme e confusionaria.
Sarebbe bello essere proiettati nei dipinti di Dalí. All’interno, proprio.
Sarebbe bello esplorare tridimensionalmente quegli spazi onirici.
Con molta concentrazione e lasciandosi andare ad una salutare sindrome di Stendhal, forse è possibile farsi risucchiare e immegersi in una sana contemplazione estatica.

La mia Chiave Pubblica

Ecco, qui potete comodamente scaricare e importare la mia Chiave Pubblica. Se dovete mandarmi messaggi particolarmente segreti, criptate con questa e inviate!
Ma quante cose si scoprono e si imparano?
Finalmente Echelon non si farà  più i fatti miei!

(forse…)Ecco, qui potete comodamente scaricare e importare la mia Chiave Pubblica. Se dovete mandarmi messaggi particolarmente segreti, criptate con questa e inviate!
Ma quante cose si scoprono e si imparano?
Finalmente Echelon non si farà  più i fatti miei!

(forse…)

Migrazione Posta Elettronica

Oggi, sabato 11 dicembre 2004 è stata una data epocale.
Infatti, dopo sette anni di utilizzo di prodotti Microsoft per la posta elettronica (in particolare svariate versioni di Outlook), ho definitivamente compiuto la mia migrazione verso il Futuro: ThunderBird custodisce ora la mia corrispondenza virtuale!
Già  il passaggio da Internet Explorer a FireFox era stato come scoprire il paradiso. E ora ancora di più.
Prevedo furente sperimentazioni nei prossimi giorni.