Fiera del Libro '05

Oggi Fiera del Libro a Torino, con Ali!
Abbiamo camminato ininterrottamente, cariche di cataloghi, soffermandoci a ogni stand, annusando estasiate la carta dei libri, ammirando tutto quel sapere e quelle parole che non riusciremo a leggere in tutta la vita.
Ho sparso curriculum in giro dovunque. Nessuno mi chiamerà , ma ho imparato a interagire con le persone.

Scena memorabile di oggi/1:
[cerco di attirare l’attenzione di un addetto allo stand davanti a me, girato di tre quarti, a mezzo metro di distanza]
“Scusi… Scusi… Ehm… Ehm… MI SCUSI… Senta… Ecco… Dunque…”
Niente. A un certo punto è arrivato un altro. Ma quello non si è accorto di nulla. Olè.

Scena memorabile di oggi/2:
Io: “Sì, salve, volevo sapere se voi della Laterza vi avvalete di collaborazioni per le traduzioni.”
Lei: “Guardi, veramente noi saremmo lo stand del Mulino…”

Sono fuggita.

E comunque, il prossimo che dice che Torino è una città  grigia “lo sparo”…

Rapporto Calipari

I complimenti. I miei sentiti complimenti.
Non parlo di politica, di solito. Di affari di stato, di società , di America. Non li ritengo argomenti su cui vale la pena sudare parole.
Ma stavolta sì, un piccolo accenno.

Cosa dobbiamo pensare dello Stato che si è eretto a protettore della democrazia, che desidera evitare ogni male per il suo popolo, che vuole fortemente preservare la libertà  e i diritti, che si impegna a utilizzare al meglio la tecnologia per noi, per tutti noi, bellissimo e bravissimo mondo occidentale? Cosa dobbiamo pensare dell’America? Che ci ama, che ci vuole bene, che è il nostro garante, il nostro padre, la nostra salvezza?

Scontato da dire, banale da ripetere, ma per me non è così.
L’America è una nazione assolutista, anti-democratica, che usa la democrazia in modo demagogico, per attirare e irretire le masse.
Altrimenti non si spiegherebbe la censura del Rapporto sul caso Calipari. Perché censurare un rapporto? Ma, peggio ancora, perché commettere errori così gravi che costano la vita a gente che sta facendo il suo lavoro in un posto reso un inferno per gli interessi economici dello Zio Sam? Io non riesco a vedere in modo positivo tutti questi atti di forza e queste imposizioni “per il mio bene”: io vedo solo che certa gente muore perché certa altra gente possa avere la benzina nelle macchine, i supermercati pieni di roba che verrà  buttata e miliardi di milioni di medicine inutili e di bisogni indotti.
Però, ogni tanto, c’è dell’ironia anche nell’America (oddio, secondo Michael Moore di ironia ce ne può essere tanta…).
Quel misterioso Rapporto sul caso Calipari censurato esiste anche in Versione Completa, senza censure, senza cancellazioni. Perché qualche genio dell’intelligence americana ha deciso che imparare a usare Adobe Acrobat era troppa fatica. E quindi i capoccia dezzauanaganaccia dell’America Che Conta (Gente di un Certo Livello, intendiamoci, tutti coi lustrini e le medagliette infilzate nel petto) hanno diffuso il documento censurato in formato .pdf non protetto e il risultato è che con un semplicissimo copia-incolla Macchianera ha scoperto tutto quello che volevano tenere nascosto.
Che poi anche qui… Non capisco… Sono veramente così imbecilli come vogliono fare credere oppure lo hanno “fatto apposta”? Purtroppo la strumentalizzazione dell’informazione è sempre dietro l’angolo e non mi dà  pace e mi fa essere ancora più scettica di quanto normalmente non sia (sia per un verso che per l’altro: quelli che si oppongono allo strapotere americano sono veramente “i buoni” o hanno, a loro volta, degli strani e molto prosaici interessi?)
Non lo so. E, sinceramente, non mi interessa.I complimenti. I miei sentiti complimenti.
Non parlo di politica, di solito. Di affari di stato, di società , di America. Non li ritengo argomenti su cui vale la pena sudare parole.
Ma stavolta sì, un piccolo accenno.

Cosa dobbiamo pensare dello Stato che si è eretto a protettore della democrazia, che desidera evitare ogni male per il suo popolo, che vuole fortemente preservare la libertà  e i diritti, che si impegna a utilizzare al meglio la tecnologia per noi, per tutti noi, bellissimo e bravissimo mondo occidentale? Cosa dobbiamo pensare dell’America? Che ci ama, che ci vuole bene, che è il nostro garante, il nostro padre, la nostra salvezza?

Scontato da dire, banale da ripetere, ma per me non è così.
L’America è una nazione assolutista, anti-democratica, che usa la democrazia in modo demagogico, per attirare e irretire le masse.
Altrimenti non si spiegherebbe la censura del Rapporto sul caso Calipari. Perché censurare un rapporto? Ma, peggio ancora, perché commettere errori così gravi che costano la vita a gente che sta facendo il suo lavoro in un posto reso un inferno per gli interessi economici dello Zio Sam? Io non riesco a vedere in modo positivo tutti questi atti di forza e queste imposizioni “per il mio bene”: io vedo solo che certa gente muore perché certa altra gente possa avere la benzina nelle macchine, i supermercati pieni di roba che verrà  buttata e miliardi di milioni di medicine inutili e di bisogni indotti.
Però, ogni tanto, c’è dell’ironia anche nell’America (oddio, secondo Michael Moore di ironia ce ne può essere tanta…).
Quel misterioso Rapporto sul caso Calipari censurato esiste anche in Versione Completa, senza censure, senza cancellazioni. Perché qualche genio dell’intelligence americana ha deciso che imparare a usare Adobe Acrobat era troppa fatica. E quindi i capoccia dezzauanaganaccia dell’America Che Conta (Gente di un Certo Livello, intendiamoci, tutti coi lustrini e le medagliette infilzate nel petto) hanno diffuso il documento censurato in formato .pdf non protetto e il risultato è che con un semplicissimo copia-incolla Macchianera ha scoperto tutto quello che volevano tenere nascosto.
Che poi anche qui… Non capisco… Sono veramente così imbecilli come vogliono fare credere oppure lo hanno “fatto apposta”? Purtroppo la strumentalizzazione dell’informazione è sempre dietro l’angolo e non mi dà  pace e mi fa essere ancora più scettica di quanto normalmente non sia (sia per un verso che per l’altro: quelli che si oppongono allo strapotere americano sono veramente “i buoni” o hanno, a loro volta, degli strani e molto prosaici interessi?)
Non lo so. E, sinceramente, non mi interessa.

Urlo

Sono andata a vedere Urlo, della compagnia di Pippo Delbono per tanti motivi, tutti poco validi. Prima di tutto perché Natan conosceva il gruppo teatrale e ne parlava in maniera entusiastica. Poi perché era tanto che non andavo a teatro. Infine (ma oserei dire “soprattutto”) perché avevo letto in giro che è una compagnia “strana”, con uno che è stato in manicomio che recita come attore, con tante persone sui generis, un po’ matti, un po’ emarginati.
Sì, lo confesso: sono andata con uno quel tipico senso di voyeurismo molto macabro che mi suscita sempre la diversità .
Sono andata perché pensavo di vedere fenomeni da baraccone. Gente che faceva “il pazzo”.
E l’ho pagata cara. Sì, perché questo spirito di divertimento scanzonato, di curiosità  semi-intellettuale, semi-popolare mi ha, letteralmente, fregato.
Quando Urlo è cominciato me ne volevo andare. E non perché gli attori non fossero bravi, perché la compagnia non fosse professionale, perché non vedessi bene dal mio posto. No, me ne volevo andare per evitare di essere così coinvolta come poi sarei stata. Per il primo quarto d’ora mi sono sentita male. Una sensazione di disagio profondo, di malessere, il tipico “pugno nello stomaco” di cui si parla sempre. Vedevo queste persone sul palco scenico, i loro corpi, le loro forme. Ascoltavo queste urla sgraziate e disperate, pianti isterici e risa di follia, parole di Ginsberg, di Wilde, di Shakespeare, recitate dall’unico personaggio “normale”. Normale? L’eco di questa parola mi ha martellato nel cervello per tutta l’ora e tre quarti di spettacolo. A cosa stavo assistendo? A una fiera di fenomeni da baraccone “felliniani e bunuelliani”, come sono stati definiti? No, non ne sono convinta. Stavo assistendo a sensibilità , a prospettive, a immaginazioni, a delirii, a colpi di genio. Era l’anima di un’umanità  molto più che normale, quella vomitata fuori dalle casette della scenografia. Erano corpi e carne e allegria ed estrema sofferenza, erano esseri umani. Non esseri umani “di seconda scelta”. Questa è l’umanità  che mi piace. Probabilmente – lo spero – questa è l’umanità  di cui faccio parte. Non quella dei borghesi bendati seduti al tavolo delle leccornie. Non quella dei Papi altolocati e potenti, non quella di una politica abietta e senza significato.
Preferisco la nenia popolare di una voce di donna che viene da lontano. Preferisco Bobò, che pensavo solo fosse “uno strano ometto basso”, all’inizio, per poi capire, invece, che era lui quello estirpato a forza da Delbono da quarantacinque anni di ospedale psichiatrico. Preferisco donne androgine alte e con le gambe muscolose o ragazzotte basse e in carne. Preferisco questo sottomondo di artisti e geni compresi, perché mi hanno fatto scoprire il teatro e il suo potere, dopo anni che pensavo di conoscerlo.
Nel buio della sala gremita ho pianto. Ho pianto tanto. Prima con vergogna. Sono grande, non si deve piangere a teatro. Poi con soddisfazione, perché era l’emozione più bella e dolorosa che potessero farmi provare.
Il dannato disagio iniziale era dovuto al crollo totale delle mie barriere, al fatto che degli esseri umani fossero riusciti a mettermi davanti a una realtà  che ben conosco ma che non avevo mai davvero capito.
Normalità .
Pazzia.
Se già  questi deprimenti termini non avevano senso prima, per me, ora ne hanno ancora meno.

“I saw the best minds of my generation destroyed by
madness, starving hysterical naked,
dragging themselves through the negro streets at dawn
looking for an angry fix,
angelheaded hipsters burning for the ancient heavenly
connection to the starry dynamo in the machin-
ery of night…”