Pixaboy… Mundial!

Pixaboy Mundial
Vi ricordate Pixaboy?
Quel bellissimo ragazzino fatto di pixel e magia che chiedeva tutto il vostro amore e la vostra attenzione e che vi sottoponeva a domande capitali quali:
“Preferisci il sushi o la pizza?”
“Lavatrice o lavastoviglie?”
“Ti piace di più davanti o dietro?”

Oltre ad aver scatenato una sorta di dipendenza in chi ne faceva uso (qui c’è un interessante esempio degli effetti del Pixaboy su chi ci ha giocato, con annesso saggio di analisi di Matteo Bittanti) il ragazzo si è… Evoluto!
E per l’occasione dei mondiali prossimi venturi si presenta in versione “Pixaboy Mundial”, appunto.
Si può affrontare la sezione Trivia, in cui rispondere a domande uber-storiche su calcio, mondiali e palle varie. E si può giocare con l’Arcade e cercare di fare più palleggi di tutti. Tra un po’ ci sarà  anche la sezione “Predizioni”, ossia potrete provare a indovinare chi vincerà  (Moggi escluso) nei prossimi mondiali…

Go and have a try
, calciatori dentro!Pixaboy Mundial
Vi ricordate Pixaboy?
Quel bellissimo ragazzino fatto di pixel e magia che chiedeva tutto il vostro amore e la vostra attenzione e che vi sottoponeva a domande capitali quali:
“Preferisci il sushi o la pizza?”
“Lavatrice o lavastoviglie?”
“Ti piace di più davanti o dietro?”

Oltre ad aver scatenato una sorta di dipendenza in chi ne faceva uso (qui c’è un interessante esempio degli effetti del Pixaboy su chi ci ha giocato, con annesso saggio di analisi di Matteo Bittanti) il ragazzo si è… Evoluto!
E per l’occasione dei mondiali prossimi venturi si presenta in versione “Pixaboy Mundial”, appunto.
Si può affrontare la sezione Trivia, in cui rispondere a domande uber-storiche su calcio, mondiali e palle varie. E si può giocare con l’Arcade e cercare di fare più palleggi di tutti. Tra un po’ ci sarà  anche la sezione “Predizioni”, ossia potrete provare a indovinare chi vincerà  (Moggi escluso) nei prossimi mondiali…

Go and have a try
, calciatori dentro!

Ciak, si gira

A minuti cominciano le riprese.
E’ tutto pronto? Credo di sì.
La Wara prepara la Ultimate Bandana.
Ale viene sconfitto da Nicola a PES.
Anna sistema i capelli e la barba a Giacomo.
Gatsu è scettico come sempre.
Ecaterina è tornata dalla Colombia giustappunto per evitare che la fotografia del film sembri quella dell’Ispettore Derrik o di un deprimente film tedesco.
Io e Paolo abbiamo finito la scena da tradurre, l’abbiamo postata, e ora c’è tutto il resto da fare.
Nikita ha recuperato un capannone ideale per evitare che i partecipanti alla prima di Philanthropy muoiano schiacciati dai calcinacci.
Insomma.
E’ tutto pronto.
E io sono qui a guardare un cielo sereno e a immaginare.
Immaginare come, tra cinque minuti, si manifesterà  la fatica di tante persone dell’ultimo anno e mezzo.
Immaginare com’è strano sentirsi sempre a un passo dall’emozione e riuscire sempre a evitarla così prontamente.
Sapere, conoscere, come si sta, quando si è così divisi, così lontani, così spettatori della vita da protagonisti di qualcun altro.

Poi però penso che ci sarò anche io, qualche volta. E che mi godrò il momento perché l’avrò aspettato com il Natale quando sei piccolo.
Come ho sempre fatto nella mia vita, ricostruirò le emozioni dalle parole, dalle fotografie, dalle immagini che si muovono su uno schermo, e riuscirò, forse, a godere del momento ancor più che se fossi stata presente.
Perché è così, per me. L’attesa, l’assenza, la potenzialità , la mancanza, tutto questo è il sostrato su cui si costruiscono i miei sentimenti, il mio sentire, il mio non dormire o dormire troppo per cercare di sognare, invano, quello che vorrei.
E’ stupido da pensare, forse, ancora più stupido da dire, ma c’è una tacca, nelle vite di tante persone, stasera, e non tutti ne sono consapevoli.
C’è una tacca indelebile che scandisce uno di quei momenti della vita che, se diventi famoso o se muori dopo aver compiuto una strage, verranno ricordati nella tua biografia come: “Dopo quella sera niente sarebbe più stato lo stesso”.

E io sono qui davanti al mio monitor e alla mia tastiera a scrivere parole, e non in carne e ossa nel luogo di vita a sentire sulla pelle. Ma è questo il mio modo di conoscere. E più che conoscere è un intuire, è un immaginare, ancora e sempre, una vita possibile.
Devo dire, però, che questa vita possibile sta diventando vera, non è più una possibilità  tra tante, è quasi l’unica che mi riguarda ora. Viaggiare, spostarsi, non sentirsi più a casa in nessun luogo e, nello stesso tempo, essere a casa ovunque, sempre, continuamente, perché il rifugio ce l’hai dentro, e in un quaderno, e in una persona lontana che, nonostante tutto, ti pensa.
O almeno io mi illudo che sia così.
“Chi vive sperando muore cagando”. Questo proverbio francese che la mia amica Alice mi ripete da anni (o forse anche ora sto solo immaginando lei che me lo dice, quando in realtà  non è mai successo), mi fa capire quanto labile siano i ricordi, le speranze, i sogni e le preveggenze.

E allora prenderò i miei Tarocchi, quelli nella scatola con il cordino, quelli consumati sugli angoli, dipinti con pennellate di colori sobri e uniformi. Li disporrò sul tappeto buio della mia camera, nel prenderò cinque a caso e cercherò di capire davvero cosa mi sta succedendo. Anche se forse già  lo so e non me ne rendo conto.

E’ una sera che è come un solco, questa, e resterà  insieme ai tanti solchi profondi della mia vita, in un cassetto dell’animo.
Non è tanto importante cosa si fa, a volte, ma il solo processo, il solo atto creativo, il solo tentare, il solo scagliarsi contro montagne invalicabili e mostruosi mulini a vento che ci rende degni di memoria.
Non è lo spettacolo finale, ma le prove, la fatica, il sudore, la disperazione delle notti che hai paura che non nascerà  niente che va ricordato.
E’ nato tanto, da tutto questo. E’ nato più di quanto ognuno di noi osasse sperare.
E quando c’è così tanto già  all’inizio non si può essere disperati, perché siamo già  andati più lontano che se non fossimo mai partiti.

E ora una sigaretta e uno sguardo al cielo. Possiamo andare ovunque. Basta che ci ricordiamo che abbiamo le ali e che dobbiamo lasciar cadere la corazza, per volare via leggeri.
Basta corazze. Basta lacrime. Stiamo volando.

Preghiera

“Stringimi forte
fino a farmi male.
Dammi un amore
senza frontiere,
un corpo pulsante
da venerare.
Tu sei il paradiso
dei sensi e l’inferno
della mente…
Dammi un miscuglio di
amore e sesso.”

L’anticipazione del prossimo numero di John Doe suona come una preghiera che potrei recitare anche io.

E3

ORE 1,00: Ci sono cascata ancora.
Un’altra volta.
Sono sveglia nel cuore della notte per seguire una conferenza oltreoceano e scoprire cose che potrei sapere con calma domattina. Niente da fare. Quando una è geek e nerd dentro, non c’è davvero niente da fare…

ORE 3,25: meno male che c’era Matteo e quattro ragazzi della conferenza a tenermi compagnia. E’ stato un dramma. Uno sfacelo. A un certo punto Phil ha anche dovuto invocare gli applausi dicendo: “Oh, è finito, applaudite”…
Ho perso una notte di sonno e non c’è nemmeno MGS4.
Ora parlano di Final Fantasy XIII… Vediamo…

Ore 3,30: mi hanno sentito. Trailer di MGS4 con pistola in bocca finale.
Senza parole… Forse non è stato così sbagliato stare svegli finora…

CONTINUA E FINISCE QUI

Cara vecchia Toscana…

Ti svegli una mattina e scopri che vogliono costruire una superstrada a Lucca… La Superstrada ZeroZero.
No, non intorno a Lucca, bensì dentro Lucca. Con tanto di Cavalcamura e soppressione di vari centri di interesse e di aggregazione che, sicuramente, sono meno importanti di una nuova e imponente opera architettonica.
La Toscana è una regione avanti.
La Toscana è una regione che a lungo ho amato.
E allora perché questa iniziativa che sa di burla, questo progetto che vuole sbaragliare centri sociali e location storiche per far passare cemento e auto?
La gente si interessa ed è perplessa.
I toscani però non restano a guardare, e reagiscono.
E così il Comitato NoZeroZero si sta impegnando per evitare l’ennesimo scempio.
E intanto qualcuno ha hackerato il sito del Ministero delle Grandi Opere
Perché la viabilità  potrebbe migliorare. Perché Lucca diventerebbe un porto di terra, da attraversare a tutta velocità  e lasciarsi alle spalle, insieme ai copertoni usati e allo smog.

Una domanda mi saltella in testa: mi dicono fonti autorevoli che la gente è interessata. Che la gente minaccia, che scende per strada a vedere che succede, che vengono boicottati concerti, che c’è attenzione. L’unica mia perplessità  è: perché le persone aprono gli occhi solo davanti a tombini, ponti, autostrade, TAV, e opere urbanistiche? Perché non si accorgono di quello che hanno, come gli spazi per i ragazzi, come il verde, come le infrastrutture di aggregazione anche senza queste minacce incombenti?
E’ proprio vero, allora: siamo un popolo di vecchi intorpiditi dagli anni ma con un sano spirito voyeuristico. I cantieri hanno un fascino che i centri sociali non avranno mai, a quanto pare…

La Meglio Gioventù

La Meglio Gioventù
Giusto per riprendere il titolo: meglio tardi che mai.
Come si può pensare di fare qualunque cosa sull’anti-psichiatria quando non si è visto nemmeno questo film?
Sono le quattro di notte e mi appresto a vedere la seconda parte, perché non resisto, perché è irrinunciabile.
L’adolescenza, il viaggio, l’amore, l’abbandono, l’ideale e la realtà , la disumanità  e l’anti-psichiatria, e mille altri temi che non posso, non posso non continuare a scoprire, ora, adesso, subito, perché per troppo tempo non ho guardato, perché per troppo tempo ho ignorato, anche se credevo di no.
Mi fa impressione notare come gli “illuminati” degli anni ’70 avessero capito tutto, come ci fosse nell’aria quella sensazione di sfacelo imminente che ci sta travolgendo oggi e come alcuni se ne accorgessero.

“Lasci questo paese. L’Italia è un paese da distruggere. Un posto bello e inutile, destinato a morire.”
“Cioè, secondo lei tra un poco ci sarà  un’apocalisse?”
“E magari ci fosse. Almeno saremmo tutti costretti a ricostruire. Invece qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri. Dia retta a me, vada via.”
“E lei, allora, professore, perché rimane?”
“Come perché? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere.”

Che già  uno fa fatica a prendere sonno, quando poi te lo dice un film, ci pensi davvero. Se te lo dicono tutte le persone che hai intorno e che ti stimano e che ti vogliono bene puoi far finta di non sentire. Ma quando te lo dice un film. E quando nel buio della sala senti che devi prendere il quaderno e devi prendere la penna e devi scrivere queste parole un po’ banali ma così reali, allora ti accorgi anche che devi agire, che questo immobilismo può travolgere tutto, ma non deve travolgere anche te, che devi scappare, con la mente e col corpo, se puoi.
Che poi sono anni che scappi, anni che non stai ferma, anni che vaghi alla ricerca di qualunque cosa che non sia quello che hai già .
Da una parte mi sento confortata. Quando qualcun altro parla e dice quello che pensi anche tu, beh, allora ti rendi conto che non hai proprio sbagliato strada, che non stai sbagliando tutto.
Da una parte mi sento fuori tempo. Come sempre. E’ per questo che parlo veloce, che dormo poco e che fumo in fretta. Sono in ritardo, su qualunque cosa, quasi sempre. E anche stavolta. O forse no, forse devo smetterla di vederla come una “gara” e cominciare a dire quello che ho da dire. E stavolta sì, stavolta non mi lascio scappare l’ennesima idea.
L’anti-psichiatria, chi l’avrebbe detto che proprio mentre io stavo cercando di partorire, invano, Malinconie Urbane, qualcuno, nello stesso istante, nelle stesse notti, stava girando un film che parlava della stessa cosa. Un film in cui il protagonista dice:
“E’ il mio maestro, Franco Basaglia.”
“Quello che vuole liberare tutti i matti.”
“Lui c’ha questa strana idea che i malati non siano dei detenuti, ma delle persone. Che la malattia mentale non sia una colpa da espiare. Bizzarro, no?”
E non mi consola sapere che Marco Tullio Giordana ha 56 anni, non mi consola pensare che a vent’anni posso aver avuto un’intuizione che ha avuto anche uno di cinquanta. Non mi consola nulla, in questo momento, ma sento sento la responsabilità  delle mie (non) azioni, sento quantomeno la consapevolezza.
Quindi ora basta.

Come mi ha detto lo Zio Angelo, devo “trovare la leva che sta alla base del meccanismo. Inventa un’interferenza semplice ma costante, che condizioni tutto dalle fondamenta.
E avrai il tuo sistema.
Il tuo mondo.”

Ok, io vado. Poi vi faccio sapere. Il vostro numero ce l’ho. Vi chiamo io.