Author Archives: BlueValentine
Run baby run
Lo sapevo che la primavera sarebbe arrivata. Me lo sentivo.
No, non la “solita” primavera, quella che comincia il 21 Marzo ogni anno, precisa e puntuale come un orologio. Intendevo la MIA primavera, quella in cui mi metto a fare l’orto, a correre nel Parco del Ticino, a tradurre sul terrazzo all’ultimo piano, nella nostra Mansarda Blu (e gialla), quella in cui ordino le guide Lonely Planet per il viaggio in Europa di quest’estate e in cui non mi sento un fallimento totale in ogni singolo secondo.
Epifania? Circa, non proprio, però almeno non provo la solita fastidiosa e immotivata inquietudine. Progetti nella testa. Posti dove andare. Voglia di lavorare alle traduzioni, sempre di più. Bisogno, quasi, di passare un bel po’ di ore al giorno a scrivere, ma poi correre, sudare, stare al sole, riflettere, tornare a cambiare una parola.
Ho giocato a Heavy Rain (presto uno speciale come non mai), stiamo cominciando a lavorare al nuovo progetto di Hive Division, tra due settimane andremo al Far East Film Festival (che aspettiamo ogni anno come e PIU’ del Natale) e domani andiamo a Pavia per rivedere delle persone speciali e passare una giornata insieme.
Certo, c’è anche chi parte e mi ricorda che un po’ vorrei partire anche io, e andare, e vedere, e magari ricominciare da qualche altra parte. Però forse c’è ancora qualcosa da fare, qui, c’è ancora la possibilità di essere felici e non me la sento di ricominciare da zero altrove, perché in fondo qui non sono a zero. Affatto.
Ora c’è il sole e un bel vento fresco. Esco. E respiro di nuovo.
Ciao, mi chiamo…
Non che sia il momento, non che si debba prendere una decisione, però stasera stavo facendo il punto sui possibili nomi per eventuali figli futuri.
Ne abbiamo parlato, con Giacomo, ed è dura. Non siamo sicuri, non abbiamo molte preferenze in comune, però qualcosa c’è e quindi c’è speranza di trovare un accordo.
Prima spiegherò i criteri, poi rivelerò i nomi.
Per una bambina, siamo a un nome solo, per adesso. Volevamo un nome che non avesse radici cristiane, ma nemmeno esplicitamente anglosassoni, neppure orientaleggiante e che fosse comunque facile da pronunciare in italiano. Comincia con la G e ed è… rotondeggiante, direi!
Per un maschietto, invece, siamo in bilico tra due alternative, una più volta al “passato”, una più tendente “al futuro”. Circa. Una delle due è un nome doppio, che di solito non ci piacciono (tipo Gian Marco, Augusto Maria, e cose così), ma questo spacca davvero. L’altro è un nome che… diciamo che parla di un “uomo nuovo”, di un essere proteso all’infinito e OLTRE, di qualcuno con una grande storia, sia alle spalle che davanti.
Ecco l’elenco, per ora scarno. Però di certo potete capire le nostre preferenze e darci una mano, così quando sarà il momento, andremo sul sicuro!
Nome femminile… Gubumma!
Nomi maschili… Crystal Ball e R. Daneel Olivaw (forse anche senza R. davanti)!
Beh, che ne dite? Votate anche voi il vostro preferito!
PS: no, lasciate stare i servizi sociali, non è il caso di scomodarli… Sono solo dei nomi!
Shutter Island e MoS
Shutter Island mi è piaciuto. Purtroppo, ultimamente la mia vita sembra essere “funestata” da intuizioni tanto geniali quanto fastidiose che riguardano i finali delle cose che sto leggendo o facendo o vedendo o giocando. Di questo film mi è piaciuta l’ambientazione (un manicomio, su un’isola), i personaggi (vari quanto più si può sperare), il finale (anche se l’ho intuito credo al minuto 4, quando il protagonista dice “Non trovo le mie sigarette”) e la compagnia con cui l’ho visto (Gian sei la miglior MILF del mondo).
Quello che non mi è piaciuto è il doppiatore di Leonardo di Caprio, cane quasi quanto solo quello di John Cusack, la tipa cerebrolesa nella fila dietro che continuava a far battute insignificanti, infastidendo peraltro anche il ragazzo con cui stava, che sperava forse di ottenere qualcosa a fine serata e che dopo il film ha deciso che una sega era meglio e poi basta, direi.
Siamo andati a vedere questo film perché beh, era Scorsese, ma anche perché la trama letta qua e là ci faceva temere in un “plagio” involontario di una nostra idea per il progetto su cui Hive comincerà a lavorare ad Aprile. Per fortuna era solo un altro bel film e non il NOSTRO film (anche perché se no, sai che sfiga?). Quello che mi piace è l’intramontabile fascino della psicologia, della mente umana, il fatto che Freud e Jung non sono affatto morti e che anzi, sebbene sicuramente clinicamente superate, le loro teorizzazioni sono ormai entrate nell’immaginario collettivo e, esattamente come accade per la fisiognomica, scienza ormai declassata a follia, ci forniscono infiniti spunti per raccontare storie, per giocare con gli stereotipi (o, forse meglio, con gli archetipi) e per continuare a inorridire e a terrorizzarci davanti agli abusi fisici e psicologici a cui possiamo sottoporre la mente umana. Inquietantemente adorabile, direi.
Quindi sì, Shutter Island lo consiglio vivamente, ma consiglio vivamente anche di stare all’erta, perché qualcosa si sta ricominciando a muovere, qui, e presto la squadra tutta sarà richiamata “alle armi da presa” per cominciare a lavorare sul nuovo progetto, che in codice chiameremo solo MoS, per ora…
Questa volta il diario di produzione (e pre-produzione e post-produzione) sarà decisamente ricco quindi… Se siete curiosi di scoprire su cosa lavora Hive, curiosate e teneteci d’occhio!
Il cibo e Robot
All’università studiavo il cibo nel romanzo inglese, di come fosse un indicatore dello stato sociale, ma anche emotivo, dei personaggi. Tutto ovviamente vero e illuminante, come il 90% degli argomenti collegati alla letteratura inglese (nel 10% di inutilità e sciagura, tra gli altri, c’è ovviamente Dan Brown).
In questi mesi di risalita è stato lo stesso per la mia vita: pizza al volo quando le cose non andavano proprio alla grande, lasagne e torte salate o dolci quando tutto sembrava ingranare, cibo sperimentale una volta tornata definitivamente la voglia di fare. Non male, soprattutto perché sta arrivando la Primavera a gambe levate e tra poco ricominceremo a mangiare e bere sul terrazzo, tra i fiori e il cielo azzurro. Questo si chiama vivere. Il tutto sarà completato dai piccoli e grandi viaggi che abbiamo sognato lungo questo inverno letargico: antipasto di Udine (Far East mon amour), un bel piatto unico a base di Alsazia, Lorena, Paesi Bassi e Foresta Nera e un dessert di Croazia e montagna per riattivare le gambe e gli occhi. Insomma, c’è dell’ottimismo nell’aria, per la prima volta dopo tanto.
E poi ci sono i Robot di Asimov, che anche se abbiamo visto e rivisto i Robot ovunque, con i loro comportamenti approssimativi e le loro incomprensioni con gli esseri umani, leggerli dal padre di tutta la fantascienza è sempre un’emozione. E se non ci permetteranno di chiamare il nostro primo figli maschio “Crystal Ball”, come speriamo, allora lo chiameremo R. Daneel Olivaw. O il primo maschio o il prossimo gatto, mettiamola così.
Certo, un po’ mi manca Hari Seldon. Sono tentata di leggere anche i libri “spuri” scritti da fanatici come me dopo la morte di Asimov, ma resisterò alla tentazione.
Ora vado. Il sole sta tramontando e colora di arancione le lanterne e le fatine appese fuori…
E poi devo leggere. E scrivere. E scrivere.
Strathmore Bond – Opaque
E’ un tipo di carta. Io non lo sapevo (non so tante cose).
25% Cotton Fiber USA. Mica roba da poco.
Si prendono la briga di scrivermi su carta di qualità , firmando a mano la lettera, solo per dirmi che “Non hai vinto, ritenta”.
Che poi non è questione di vincere, è questione di bravura. Ma visto che sono io e che a quanto pare non ho mai “what it takes”, allora devo più pensare che sia solo una questione di fortuna. Come fanno tutti quelli che ogni settimana giocano al lotto o che quando trovi un buon lavoro ti dicono “Come sei stata fortuna”. Non “brava”. “Fortunata”.
Beh, oggi mi sento di condividere un grande, grandissimo segreto con il resto del mondo: la fortuna non c’entra niente. Io non credo nella fortuna, non credo nella sfortuna. No, nemmeno se un frammento di meteorite colpisce te tra sei miliardi di persone.
Il problema è che abbiamo tutti feroci istinti solipsisti. Che ci crediamo speciali. Che pensiamo, ci illudiamo di poter dare un contributo in qualche modo, diamo retta a chi ci parla di Quanti e di energie, di Karma e di costellazioni familiari. E invece siamo qui nella nostra medietà più totale (devo ringraziare qualcuno per questo termine ma non ricordo chi) e però abbiamo sogni grandi, aspettative, speranze, vogliamo che nostro padre sia fiero di noi e gli diciamo che il rifiuto di un’università prestigiosa era solo “pubblicità “. Già .
Mentire a trent’anni perché ti senti un fallimento e perché ti vergogni che il tuo meglio non sia mai abbastanza. Mentire perché ogni frase che ti esce dalla bocca e dalla testa ti sembra così visceralmente banale da farti sorridere, quasi.
Eppure in questi giorni sto bene, sono felice: lavoro tanto, sperando di poter continuare. Per la prima volta dopo tanto tempo ho qualcuno che non mi dice sempre “Va bene, brava”, ma che mi dice “Così non funziona, questo non suona, questo riscrivilo”. Ed è un processo che mi porta a crescere, non mi frustra, mi fa migliorare. E’ lo stesso motivo per cui mi imbestialisco quando mi dicono “Bel racconto Vale”. Non ditemi “Bel racconto”, bello è solo l’aggettivo più neutro e insignificante a cui potete pensare. Ditemi qualunque cosa, ma non che quello che scrivo è “bello”, vi prego.
Ora, dicevo, devo solo trovare un modo di convivere con la costante e ineluttabile possibilità di fallire. Che non è così semplice, quando si pensa di aver ricevuto tanto e di non aver ridato indietro molto. Quando si pensa che qualcuno abbia investito su di te e che tu puoi essere solo una cocente delusione, continuamente, ogni volta, e ancora e ancora.
Perché io non voglio avere sempre ragione. Non mi interessa avere ragione. Io voglio discutere, voglio sbagliarmi, voglio ricredermi, voglio ridere degli sbagli che ho fatto, voglio migliorare. Vorrei che uno, due, mille errori non fossero la fine di tutto, ma che ci fosse modo di discutere, di riprovare, di avere una seconda chance. Ecco, forse ho paura di non avere seconde chance. Delle porte chiuse in faccia. Del fatto che quello che faccio non riesco a farlo con la stessa intonazione e la stessa intensità , sempre, ma che ho dei picchi e delle valli, degli alti e dei bassi. Quello che spero è che i picchi siano abbastanza alti da compensare il basso delle valli. Altrimenti siamo daccapo: sono solo una media di me stessa.
I OBSERVE: “Our sentimental friend the moon! | |
Or possibly (fantastic, I confess) | |
It may be Prester John’s balloon | |
Or an old battered lantern hung aloft | |
To light poor travellers to their distress.†| 5 |
She then: “How you digress!†| |
And I then: “Someone frames upon the keys | |
That exquisite nocturne, with which we explain | |
The night and moonshine; music which we seize | |
To body forth our own vacuity.†| 10 |
She then: “Does this refer to me?†| |
“Oh no, it is I who am inane.†| |
“You, madam, are the eternal humorist, | |
The eternal enemy of the absolute, | |
Giving our vagrant moods the slightest twist! | 15 |
With your air indifferent and imperious | |
At a stroke our mad poetics to confute—†| |
And—“Are we then so serious?†|