Villain
Giappone, Lee Sang-il, 2010, 139’
I giapponesi possono anche annoiarti per più di due ore e mezza abbondanti con un film che sarebbe potuto durare quasi la metà , però sono dei veri maestri nel trasmetterti il senso di alienazione e nell’insegnare l’analfabetismo emotivo.
Una ragazzina vacua e superficiale, in cerca incontri sessuali tramite chat room su Internet, viene trovata morta e comincia una lenta ma inesorabile caccia al colpevole. In realtà il film non è un thriller, ma il drammatico resoconto della sfortunata scoperta dell’amore da parte dei due protagonisti, Yuichi e Mitsuyo.
Parafrasando Old Boy, in cui il protagonista si chiede “Anche se sono un mostro, non ho diritto anche io di essere felice?â€, questo film sposta il fuoco della domanda dal “mostro†alla sua amata: chi è davvero lecito amare? Si può davvero amare qualcuno che ha ucciso?
Al di là della risposta – che il film dà solo per metà – quello che colpisce, tralasciando un’esasperata lentezza nella narrazione, è il vuoto pneumatico di sentimenti e di capacità relazionali dei protagonisti. Sembrano (sono?) tutti sprovvisti dei più basilari strumenti per empatizzare o, in generale, entrare in contatto con chi sta loro intorno. E tutta questa alienazione, mascherata da dogma sociale, non porta a niente, niente di buono, perché nessuno si redime, nessuno si salva, e ognuno resta solo sul cuore della terra.
3 su 5
Questo vale 4/5 (soprattutto se hai dato questo voto a un film coi SUPEREROI), concordo sulla lunghezza esasperante.