Non sono morta…

… ma per coronare una degnissima settimana di sfiga, martedì mi sono ammalata e sono a letto (letteralmente) da allora.

Giacomo è venuto in soccorso, altrimenti non so come sarebbe andata a finire.
Intanto cerco di riposarmi e di sgomberare la mente, per tornare ad essere produttiva per la nostra meravigliosa società  italiana al più presto…
Forse, però, è anche questo che non mi fa guarire… E’ alquanto stressante pensare sempre che non si sta facendo abbastanza.

Ma passerà . E sarò felice.
Domani.

Superenalotto

Non credo abbia senso dire frasi come “Questa è stata la settimana peggiore della mia vita”, tuttavia penso che un resoconto più o meno dettagliato di quanto mi è successo da lunedì 13 a venerdì 17 possa aiutare a capire perché a volte il pensiero di mandare tutto a cagare è molto, molto forte.

Lunedì 13 ottobre: Giacomo è partito domenica sera, il mio morale non è dei migliori, vorrei raggiungerlo subito in mezzo al prosecco, ma mi sa che per un po’ non se ne parla. Già  dormire da soli, dopo tanto tempo, fa male. Ricomincio ad andare in università . Sembra che vada tutto bene, quando alle due di pomeriggio mi accorgo che mi stanno rubando i soldi dalla carta di credito usando il mio conto PayPal. Blocca la carta, vai dai carabinieri, NON sporgere denuncia perché non hai ancora l’estratto conto della carta (ma solo l’avviso di PayPal), torna al lavoro e resta fino alle otto per recuperare il pomeriggio buttato al vento in commissioni inutili

Martedì 14 ottobre: escono i nuovi MacBook. Ok, ci sono alcune cose che non vanno, altre che mi aspettavo un po’ meglio, ma non importa. Mi serve il computer nuovo e lo voglio comprare. Ops! Non posso! La mia carta di credito è bloccata, pofferbacco. A parte un lieve scoramento iniziale, decido di non drammatizzare: sono solo cose, non ne faccio un dramma

Mercoledì 15 ottobre: un simpatico camionista decide che nelle file al casello “non c’è posto per tutti e due”, invade la mia corsia, mi sperona mi causa 1.800 euro di danni alla macchina. Grazie a tutti quei vigliacchi maledetti che non hanno visto niente e non si sono fermati e grazie anche all’onestà  del camionista, compiliamo la constatazione amichevole ma, per dirlo alla francese, me lo prendo in quel posto e va a finire che ci danno il 50% di colpa a testa. Ovviamente l’onestà  non è su questa terra. A poco vale il fatto che lui mi abbia ripetuto: “Io non vedo da quel lato del camion”: non c’erano testimoni e resto nella mia infelice condizione di sfigata

Giovedì 16 ottobre: giornata di tensione, confronto con super-capa che mi mazzuola perché ho uno stile troppo infantile e mi fa pesare tantissimo il fatto di non essere un’autrice madrelingua inglese e di non riuscire a esprimere al 100% e come gli sceneggiatori di Sex and the City l’ironia, il sarcasmo e il tono pungente in americano. Nessun rancore, ha ragione. Infatti preparo le valigie e mi cerco un posto da receptionist, nel mentre. Però (ma lei non lo sapeva) aggiungere frustrazione in una settimana in cui sono già  emotivamente scossa…
Poi mi scrive Max e mi fa sentire prima in colpa, poi inutile, poi frustrata: perché dalle sue parole si capisce che gli altri, nessuno, capisce il senso di quello che sto facendo. Ma ne parleremo noi due e basta. Però, sul terrazzo verde pisello di Ubi, ho pianto un sacco, mentre aspettavo di essere redarguita dalla mia capa francese…
La sera, infine, tornando a casa, assisto a una scena che definire pietosa è poco: alla fermata della linea rossa Molino Dorino la gente esce dalla metro e comincia a salire le scale. Una vecchina con i capelli bianchi e in evidente difficoltà  è aggrappata con le unghie e con i denti al corrimano, a metà  scala, e non si capisce quando potrà  ancora resistere. Beh, non solo nessuno si fermava ad aiutare, ma la spintonavano infastiditi in preda alla fretta. Ho sgomitato, spostando due o tre signori in giacca e cravatta che facevano gli gnorri e ho afferrato la signora, aiutandola ad arrivare in cima alla rampa di scale. Erano solo trenta scalini, ma nessuno ha fatto niente. E nemmeno io, alla fine, mi sono sentita un granché felice. Mi è tornata in mente mia nonna, che una volta si è fatta male salendo sul treno e si è sbucciata un ginocchio. Però, almeno, quella volta lì c’era anche mio nonno, e l’ha aiutata. E ho pensato che è veramente triste essere vecchi, ed essere soli, ed essere circondati da gente che non ha più tempo per niente. Ho pianto tutta sera pensando a mia nonna, a quanto mi manca e a ogni volta che ha salito le scale senza che io la aiutassi, perché non c’ero

Venerdì 17 ottobre: passo cinque ore per la denuncia per la carta di credito, tra il comando di polizia e la banca. E per fortuna che al comando c’è il capo della polizia che mi aiuta, gentilissimo e molto più sveglio di quanto non sarò mai, perché se no ero ancora lì a capire che differenza c’è tra una denuncia e una querela eccetera. Nel mentre, faccio la spesa e, dimenticandomi di non avere il bancomat con me, devo lasciare metà  della roba alla cassa per riuscire a pagare (coi 20 euro che avevo in tasca). Passo, infine, il pomeriggio chiacchierando con plurimi operatori di Fastweb: grazie alla rincoglionita signora che mi ha fatto il contratto all’inizio di settembre, pago la stessa cifra per avere UN SERVIZIO IN MENO di quelli che avevo richiesto. Mi incazzo, litigo con tutti quelli che mi vogliono passare ad altri reparti e alla fine trovo un ragazzo che mi aiuta davvero. Conclusione: scrivo a Fastweb una raccomandata e o mi reintegrano il contratto COME L’HO CHIESTO IO, o me ne vado sbattendo la porta.

Cosa ho imparato in questa settimana?
Che non bisogna MAI fare acquisti on-line con la carta di credito (e parla una che compra dal 1999).
Che i soldi non fanno la felicità , ma un Mac nuovo, forse sì.
Che non ci si deve fidare delle persone, mai, in nessuna circostanza. Che la gente è incattivita e vigliacca, falsa e bugiarda e che non si fanno scrupoli a fregarti, anche se sanno di avere torto marcio. Perché tanto, ormai, essere un bravo cittadino non significa essere onesti. Significa non farsi beccare.
Che non sono né sarò mai una madrelingua inglese. E che forse i miei desideri di essere un’autrice saranno solo l’ennesimo sogno sovra-dimensionato che ho. Perché si può cambiare tutto, ma non quello che si è.
Che i miei nonni mi mancheranno sempre e che sì, vivranno con me ogni giorno, ma la mancanza non è razionale e la malinconia che si prova mentre si cresce e tutto quello che eri da piccola se ne sta andando è incontrollabile e inevitabile.
Che mi fa tanto soffrire se nemmeno i miei amici più cari mi capiscono più. Se non si vede, ai loro occhi, una ragione per cui dovrei fare quello che faccio, passare nottate a scrivere e giornate a sognare. Allora forse, veramente, siamo soli, e ringraziamo che almeno siamo in due.
Che meno male che la settimana è finita, perché ho perso più tempo, lacrime, equilibrio e serenità  ultimamente che da tanto, tanto tempo.

Con tutto questo però, cosa volevo dire?
Che per la prima volta nella mia vita ho giocato al Superenalotto. Ebbene sì. Perché voglio avere la soddisfazione di un’ennesima cosa che va male, in questa settimana, e cioè, ad esempio, sbagliare la combinazione vincente per un numero, nel senso che escono tutti i numeri prima dei 6 che ho scelto io, oppure perdere il biglietto vincente e dire addio a tutti i miei soldi.
Temo che, come per la nostra società , questa sia un po’ una mia, personale, deriva. Arrivo a sperare in una cosa tanto assurda quanto quella di essere veramente intelligente e gioco un euro perché così tutto andrà  bene. Perché “non c’è motivo per non farlo”. Perché è meglio scommettere che non scommettere. Perché sto facendo quello che non si dovrebbe mai, e cioè appaltare la propria felicità  alla fortuna. Tant’è.
Tanto lo sappiamo tutti che non vincerò.
Ma almeno avrò provato veramente ad essere felice.
No?

Fuori come va

Visto che la mia più migliore amica fa citazioni dal passato remoto, anche io mi devo accodare.

Non è che non scrivo, è che fuori non succede niente di nuovo.
Dentro invece c’è l’uragano, ma almeno, finalmente, per cose che riguardano me.
Sto pensando tanto, e da fuori sembra tutto uguale, non è che se ti senti in un certo modo diventi viola e tutti se ne accorgono, no, fuori va sempre tutto bene.
Come va?
Bene, e lei?
Non c’è male, ma con questo tempo…
Eh, non si sa più come vestirsi.

Mi sto stufando di compiacere il mondo con “quanto sono brava” o “quanto sono inadatta”, anche perché, diciamocelo: sono sempre più inadatta che brava.
Sto stringendo i denti e portando a termine tutte quelle cose che hanno fatto di me quello che sono in questi ultimi anni. Perché ci vuole rispetto per quello che si fa, perché è un po’ quello che si è. E io, alla fine, devo dedicarmi anima e corpo anche alle cose che sembrano non avere un futuro. Ma non posso farne a meno, perché mi hanno insegnato così, e voglio essere corretta fino in fondo.

Poi però ci penserò due volte, anzi tre, anche di più a dire il vero, perché il punto è uno solo: nella vita ci sono tante sfumature, non c’è solo la linea della vita di Donnie Darko, amore e paura, c’è un mare in mezzo, e questo va bene, ma noi siamo qui e abbiamo un sacchetto di numeri e li dobbiamo mettere su diversi piatti, come di una bilancia, e alcuni piatti fanno pendere la nostra vita verso la felicità , altri verso la rassegnazione. E ogni giorno poniamo questi bellissimi numeri su un piatto e a un certo punto i numeri finiscono. E ciao.
Ed è triste quando ti fermi un attimo e vedi che i piatti della rassegnazione sono più pieni di quelli della felicità . Non va per niente bene e non capisci perché non cambi, perché non riesci a smettere, perché non cominci a mettere i numeri sui piatti giusti.

E’ la storia più vecchia del mondo, non ho bisogno di saggezza, lo so che ci sono già  passati tutti e tutti (tanti) hanno già  fallito, ma io non voglio essere infelice. Non voglio più mettere numeri, i miei numeri, i miei minuti che poi si sommano fino a diventare giorni e anni e una vita intera, non voglio più metterli su dei piatti sbagliati, che poi pendono dalla parte della tristezza. Non voglio più avere davanti piatti sbagliati. Voglio rovesciare la tavola, trovare la maglia rotta nella rete, guardare il cielo stellato tutti i giorni e tutte le notti.

Sono stanca di essere così diligente, sono stanca di essere paziente e di pensare che sto facendo tutto quello che sto facendo per un futuro luminoso. Voglio i miei minuti, tutti, anche se è un’utopia. Tanto, in questo senso, è tutto un’utopia. E’ solo che, purtroppo o per fortuna, non riesco più a stare nella mia pelle, che ho visto qualcosa al di là  e non voglio restare qui, che la musica e il silenzio, la veglia e il sonno, il riso e il pianto non hanno nessun sapore se non mi sento libera. Vivo in un calderone di emozioni e sto imparando ad accettarlo, però non voglio mai, mai, mai accettare di appassire come sto cominciando a fare, non voglio spegnermi, voglio che l’azzurro sia più azzurro, che quella canzone mi ricordi immagini e che il sapore di un bacio sia l’ultima cosa a cui penso prima di dormire.

E’ immaturo, è sciocco, è irrazionale, è inutile, è improduttivo, è rischioso, è strano, è anormale, è ridicolo, è sconclusionato.
Ma mi fa stare meglio, e le lacrime mi diventano dolci e i ricordi mi diventano più leggeri.
Non dirò che vorrei non essere così, no. Dirò che vorrei esserlo e che devo solo chiudere alcune cose, in un modo (spero) o nell’altro (spero di no) e poi non ci saranno più minuti né piatti né aggettivi. Ci saranno parole, le mie parole, che sono sicura avranno senso, e saranno bellissime, e saranno storie, e non tutto quello che invece ha poco senso, che è la realtà . Sarà  fantasia, sarà  fantastico, saranno visioni calate in tutti i miei giorni, saranno stagioni, e sono felice. Non “sarò”, ma sono, già  ora, perché so che quella è la mia prossima tappa (non una meta, le mete sono finali) e che sarà  tanto diversa da tutte quelle che ho raggiunto finora.

Oggi è il mio compleanno

Oggi è il mio compleanno.
Oggi posso fare quello che mi pare, tutti sono al mio servizio e nessuno può contraddirmi.
Oggi devo ricevere regali, mangiare qualcosa di buono che mi viene gentilmente offerto, riposarmi, delegare tutte le cose che non ho voglia di fare dicendo: “Oggi è il mio compleanno”.

La cosa assurda, di tutto questo, è che la gente sta al gioco. Tutti mi assecondano e, se mi contraddicono anche solo per un istante, poi dicono, smarriti: “No, oggi è il tuo compleanno, hai ragione tu!”

Oggi, ad esempio, c’è il cielo azzurro come piace a me, non ci sono nuvole ma non fa nemmeno troppo caldo. Oggi io e te ci siamo svegliati tardissimo e abbiamo fatto colazione sulla terrazza, proprio perché è il mio compleanno. Oggi faremo qualcosa di speciale, come scrivere una storia o inventare un mondo. Chiacchereremo, sorrideremo, dormiremo felici, perché è il mio compleanno.
Solo che poi mi accorgo che non è vero: che tutte queste cose gentili e belle e confortevoli non succedono solo nel giorno del mio compleanno. Succedono sempre, tutte le mattine. E non è che “succedono”: tu le fai succedere. E le fai succedere a noi due.
Quando ci svegliamo e facciamo colazione insieme. Quando passiamo i fine settimana a inventare mondi, insieme. Quando viviamo insieme e viaggiamo e vediamo il mondo. Quando andiamo al cinema o leggiamo un libro, quando sono triste e mi fai ridere, quando ho paura del futuro e mi dici che andrà  tutto bene.
O quando le persone sono gentili con me, e mi offrono cene, e mi fanno divertire e mi aiutano. Quando i miei sono pazienti, quando mi trattano ancora come una bambina, ma solo per le cose per cui mi fa piacere. O quando mia sorella Giulia compensa la mia natura incasinata. E mi ricorda che siamo molto uguali, in fondo. O quando la Roby mi fa un disengo. O anche solo si ricorda di farmi gli auguri, dopo un anno le la ossessiono, perché deve ricordarsi che Oggi è il mio compleanno.

Oggi compio 28 anni e secondo qualche strana filosofia orientale ogni 7 anni ci si rigenera completamente, le cellule del corpo muiono tutte, nel giro di sette anni, quindi in effetti si può dire che io sono una persona completamente nuova. Poi però mi rendo conto che non sono le cellule, invisibili e magari sempre uguali, che ti fanno una persona nuova: sono le cose che fai, come ti comporti, i segni che lasci.
Negli ultimi tempi ho lavorato tanto (forse troppo), ho sempre rimandato piccoli viaggi per andare a trovare persone, ho sempre dato per scontato tanta della felicità  che ho. Visto che Oggi è il mio compleanno e che compio non degli anni a caso, ma 28, non voglio che questo sia il giorno dei buoni propositi, ma voglio solo dire a tutti quelli che mi restano vicini nonostante il mio caratteraccio, nonostante il mio essere testarda ed estrema, con poco tatto e magari proprio stronza a volte, un po’ buzzica e un po’ mitteleuropea, ecco, voglio dire a tutti grazie perché mi volete bene, e sì, si capisce che me ne volete e sì, per favore, continuate ad essere pazienti, continuiamo a starci vicino, perché ci sono poche cose che contano in questo strano sprazzo di luce che è la vita, e visto che abbiamo la data di scadenza impressa all’interno del cranio, è meglio capirsi, e sopportarsi, e volersi bene.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà ; se ce n’è uno, è quello che è già  qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Estate. Ma ho 28 anni.

Visto che io non ho avuto il privilegio di desiderare di salvare i bimbi dell’Africa, mi ritrovo nello stesso posto in cui sono cresciuta, con tante cose da fare ma anche con una strana sensazione di inadeguatezza. La solita, in effetti, ma non voglio parlare di questo.
A che punto sono arrivata? Perché mi sento in dovere di tirare delle somme, oggi, 30 giugno, metà  inesatta del mio ventottesimo anno di vita?
Mi sento un passo indietro, un passo indietro a dove dovrei essere, sempre. Anche oggi, in effetti.
Però sono innamorata, ancora, ho due bei lavori che mi riempiono le giornate e le notti, ho una casa gialle blu in cui crescono tutte le piante che voglio, ho pile di libri ammonticchiate ovunque e passo il mio tempo libero lontana dai centri commerciali e immersa in progetti e idee con persone che mi piacciono.
Forse invece che liquidare così brevemente la lista dei miei achievement, dei miei successi, delle mie vittorie di Pirro, dovrei soffermarmi di più, narcisisticamente, a contemplare quello che una quasi ventottenne ha raggiunto col sudore della propria fronte, trovandosi nel posto giusto al momento giusto e facendo leva sul fatto che sembra molto più acuta e intelligente di quanto in realtà  non sia.

Io non tremo. E’ solo un po’ di me che se ne va.
Non è tutto così negativo, Valentina.
Stai male perché ti piace così, Vale.
Non c’è niente che non va nella tua vita.
Ho un Moleskine pieno di queste frasi, nonché un’infinita cronologia di conversazioni su Messenger e conversazioni live o al telefono, lettere scritte sui treni piene di buone intenzioni, consolazioni, amici arrabbiati che non ce la fanno più e mia madre che vuole che mi compri un vestito per un matrimonio.
E’ tutto così perfetto.
Schifosamente perfetto.
Perché non è nemmeno perfetto, è come gli oggetti sparsi alla rinfusa sui tavoli delle case delle riviste di arredamento: fanno così vita vissuta, ma sono la cosa più finta di tutte. Io sono un oggetto sparso alla rinfusa. Sono l’eccezione all’istanza d’ordine che rende tutto più ordinato. Sono l’elemento nella casella che sborda un po’, quel poco che basta a farlo apparire ribelle ma che non disturba la composizione.

E cancello il tuo nome dalla mia facciata.
E confondo i miei alibi e le tue ragioni.
I miei alibi e le tue ragioni.
Vai vai. No ma vai pure ad aiutare i negri dell’Africa, tanto qui stiamo bene. Abbiamo i cellulari. Abbiamo la benzina a un euro e sessanta. Abbiamo Sky. Ancora i tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi. Il resto è fumo, perché eravamo amici, una volta, eravamo amici per la pelle, e poi sei partito, e ora cosa succede? Cosa? Che noi restiamo qui a cercare di auto-determinarci, a fare Dio mentre tu lo insegni a gente semplice, che parla solo la sua lingua e non le nostre, è tutto quel che ho di te ora, tanta rabbia e una casa vuota.
E dei pezzi di vetro. Con due anime. Una luna. Dei fuochi alle spalle. Un angolo retto e una stella.
Bello vero? Romantico? Un altro degli ultimi eroi romantici che abbiamo. Ti sposi,e poi te ne vai. Ma come fai, come hai fatto a lasciarci qui, dovevamo farlo insieme o no? Dovevamo cambiarlo insieme questo mondo, invece no, ognuno per sé, e cerchiamo di tirare i remi in barca che, signora mia, non si sa più come vestirsi.
Ferirsi è possibile, morire anche, e sicuramente da soli non siamo più al sicuro. Ma è questo che mi rode, è questo che mi fa male e che mi fa odiare le tue scelte stupide e il tuo egoismo che non so avere, che alla fine invidio. Partire e andare dove? A costruire qualcosa che vedremo? A piangere e ridere di qualcosa che possiamo toccare?

E’ questo il punto: odio i miei desideri, perché non sono facili come i tuoi.
Non sono nobili, lastricati di buone intenzioni e tangibili come i tuoi.
Quindi è qualcosa qua dentro, è qualcosa che malfunziona qui, perché è come ordinare sempre il cibo sbagliato quando vai al ristorante, è essere sempre scontenti di quello che si ha, è la solitudine di fare scelte che gli altri non capiscono. Ancora peggio, è la solitudine di fare scelte difficili che agli altri sembrano scontate. Facili. Insignificanti.
Hanno ammazzato Pablo. Pablo è vivo.
Evaporata in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte, è così che mi sento.
Ma stanotte non dormo, finalmente non dormo, anche se sono più stanca di voi, sono molto più stanca di voi.
E’ questo che mi amareggia, che nonostante tutto io ci credevo.
Invece mi ritrovo all’ennesima partenza, a guardare il cielo dallo stesso posto, fiduciosa che cambierò il mondo, sì, lo farò. Ma non con voi, non con te.

E il mio cielo resta lo stesso
Fra macchie di tempo trascorso.
Andate, voi, io ho il mio impero
di macerie
a cui badare.