Aprile 13 2020

Giorno 31 – La malattia mentale

Quando hai una malattia mentale, nei film, è tutto molto semplice: se prendi le medicine, righi dritto, se smetti di prenderle hai un tracollo e ne paghi le conseguenze. I personaggi che prendono le medicine, fanno attività fisica, mangiano in modo sano, e vanno periodicamente dal terapeuta riescono a condurre una vita normale e, anzi, riescono ad attingere alla loro parte geniale – perché nei film la malattia mentale è sempre collegata, in qualche modo alla genialità. Nei film, come nei videogiochi, ci sono dei set di regole gratificanti, perché se le rispetti, raggiungi i tuoi obiettivi, se le infrangi vieni punito. I personaggi che smettono di prendere le medicine, che conducono una vita dissoluta per locali notturni, che magari si drogano e bevono troppo, loro sono ovviamente puniti, perché hanno infranto le regole.

Nella vita non funziona così. Innanzitutto, mi dispiace sfatare un mito, ma no, le persone con qualche malattia mentale non necessariamente hanno i superpoteri repressi di Xavier degli X-Men. No, niente da fare, a volte le persone bipolari o depresse, ansiose o compulsive sono solo persone normali con le difficoltà di tutti i giorni, a cui si vanno a sommare anche le difficoltà causate dalla malattia. Non siamo tutti Carrie Matheson, purtroppo o per fortuna, non siamo destinati a salvare la nazione da attacchi terroristici, siamo solo persone che vorrebbero godersi un po’ di serenità. Poi, punto altrettanto importante, sebbene ci sia statisticamente un miglioramento nelle persone che seguono terapie e che si impegnano, questo non significa che “nulla di male accadrà loro”, come invece si intuisce nella finzione. Nella realtà non c’è un gameplay da capire, non c’è uno stile di gioco che premia di più, nella realtà capire le regole, interiorizzarle, rispettarle non corrisponde necessariamente a una vittoria. Non c’è vittoria, perché non c’è un Game Master a giudicare la bontà della nostra interpretazione. È tutto completamente lasciato al caso, e noi lottiamo per tutta la vita per dare un senso a quello che ci succede, per cercare di “vincere” la partita, ma la verità è che il livello di gioco in cui ci troviamo è infinito e le regole che valgono in questo momento non saranno le stesse che varranno tra poco.

Quindi mi trovo qui, in un gioco senza regole e senza game designer, mi trovo dispersa, e dopo una vita a cercare di capire le regole, interiorizzarle, rispettarle, mi trovo davanti a una steppa inesplorata in cui non so dove sono le trappole. Giacomo sa come sto. Lo sa da quando ci siamo conosciuti, ormai 15 anni fa. Ha imparato ad amare e in parte proteggere questa parte malata di me, a volte la consola, a volte la spaventa. 

È a causa di questo e di altri pensieri che da qualche giorno non riesco a dormire. Ci ho provato in ogni maniera, senza risultato, ed eccomi qui, mi ritrovo alle 3.00 del mattino da sola, in studio, a leggere spezzoni di libri di Borges e ad ascoltare musica per smettere di sentire il dolore. Un dolore che arriva da non so dove e si irradia senza preavviso nel petto. Poco importa che abbia passato una bellissima giornata con la mia famiglia, poco importa che Leonardo mi abbia raccontato di storie e avventure tutto il pomeriggio, o che Giacomo guardi un film con me e ne commentiamo la struttura narrativa… Quando scendono le ombre e il buio, arriva il dolore. Lo nascondo, lo dissimulo bene, perché non voglio inquinare lo spirito degli altri. Ma c’è. Allora uso la notte per conoscerlo, per ascoltarlo, per parlarci.

Stanotte, però, il dolore mi dice qualcosa. Mi sussurra un’idea all’orecchio, un’idea che non riesco a togliermi dalla testa. Voglio entrare nella Quarta Porta da sola. È un impulso così irrefrenabile che, davvero, non posso resistere. Non posso, in alcun modo. Devo andare là sotto, devo farlo da sola, quel posto mi chiama, è mio, e se non andrò non riuscirò a dormire mai più. E io voglio dormire.

Quindi, ho deciso. Giacomo capirà, di certo. E se non capirà, farò in modo che capisca. Questo articolo è programmato per comparire sul diario lunedì 13 aprile, così se non sarò ancora tornata, almeno, avrà una risposta alla mia scomparsa.

Giacomo, Leonardo, vi voglio bene, ma devo andare. Spero di non restare intrappolata. Spero di tornare da voi. Non so cosa ci sia dietro la Quarta Porta, ma mi chiama a gran voce. Devo andare perché se no il dolore prenderà il sopravvento, e non posso permettere che succeda. Vi voglio bene.

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