Aprile 17 2020

Giorni 35-36 – La Quarta Porta – Parte 2

Stavo per arrendermi.

Stavo per arrendermi quella volta che ho perso il lavoro dei miei sogni.
Stavo per arrendermi quando pensavo che la mia vita fosse solo ansia e angoscia.
Stavo per arrendermi quando pensavo di non farcela, che sarei morta se restavo su quel set un altro istante.
Stavo per arrendermi anche quando mi ero rassegnata ad avere una vita a metà, infelice, insoddisfatta, intrappolata in un futuro che non sentivo mio.

Però, alla fine, non mi sono arresa. Ogni volta ho sentito di essere a un passo dal cedere. Ogni volta mi sono rialzata, rendendomi conto che avevo tutti gli strumenti per andare avanti.

Sulla chiave della Quarta Porta c’era incisa la scritta “Fight”. Entrata nella Biblioteca non avevo subito collegato come e soprattutto perché dovessi combattere, lì dentro. Ora mi era chiaro, invece. Dovevo combattere contro quella parte di me che mi si oppone ogni volta, che mi dice “non ce la farai mai”, che ha paura che combini qualche disastro, che non si fida delle mie capacità. A mio figlio ripeto sempre che “Sbagliare serve a imparare”, ma io stessa non ci credo, spesso. Sbagliare, per me, serve solo a dimostrare che quella mostruosa parte che mi divora il cuore ogni giorno ha ragione, che è vero che sono un fallimento, che è vero che la mia vita è un concatenarsi senza fine di fallimenti di varie dimensioni. Però ho imparato a combattere questa voce e a metterla a tacere. A provare a fare, anche se so che fallirò. Che è poi la nobiltà di Ettore nell’Iliade: sa che soccomberà al semi dio Achille, sa che morirà e il suo corpo sarà scempiato, ma combatte comunque. Ed è quello che ho deciso di fare anche io, anche questa volta, per l’ennesima volta nella mia vita.

In preda alla stanchezza, al sonno, all’allucinazione, mi sono resa conto della banalità del codice che mi trovavo davanti. Tutte quelle lettere, numeri, cifre servivano per mascherare una sequenza elementare: seguendo l’ordine dei numeri dei libri estratti, le parole sulle costole della copertina formavano una frase di senso compiuto e totalmente contestualizzata.

Quindi, ad esempio, la lettera F sulla costa del libro estratto nell’esagono 19, andava alla posizione numero 8 della frase.

Esagono 19 – Scaffale B – Libro 8
                       F

Le lettere AG sulla costa del libro estratto nell’esagono 14 andavano alla posizione 21 della frase.

Esagono 14 – Scaffale C – Libro 21
                                                                 AG

Secondo questo principio, chi aveva costruito il codice era stato anche magnanimo: i primi tre volumi che avevo scelto, infatti, mi davano un indizio chiaro su come organizzare le lettere:

Esagono 01 – Scaffale A – Libro 1
C

Esagono 02 – Scaffale C – Libro 2
  ON

Esagono 03 – Scaffale D – Libro 3
        T

CONT

E così via. Mi è bastato ordinare con pazienza le lettere, ignorando qualsiasi dato che non fosse il numero del libro e le lettere sulla costa.
La frase che ne risultava, dopo tutte le sostituzioni  del caso, era la seguente:

“CONTINUA FINO AL PROSSIMO ESAGONO”

Una frase semplice, chiara, sensata. Quello che era incomprensibile e inquietante, invece, era il senso di quel messaggio: qual era il “prossimo esagono”? Dovevo andare avanti all’infinito? Forse no, visto che lì dove mi trovavo, con i 23 libri che avevo scelto, la frase aveva un senso finito. L’unico modo per togliermi il dubbio, era appunto continuare fino all’esagono successivo, e vedere cosa sarebbe successo.

Sono entrata nel ventiquattresimo esagono senza il mio filo di Arianna di sicurezza: l’ultimo lembo del mio scialle era rimasto nell’esagono precedente. Il ventiquattresimo esagono era uguale in tutto e per tutto agli altri, tranne che per un particolare: un cofanetto di legno di palissandro del libano collocato nel centro esatto della stanza, per terra. Mi sono avvicinata, l’ho aperto, e dentro ho trovato la Quinta Chiave. Ce l’avevo fatta. Ce l’avevo fatta, ma qualcuno conosceva a memoria i miei passi, il mio percorso. Qualcuno addirittura sapeva prima di me come mi sarei comportata. Aveva addirittura creato la biblioteca in modo tale per cui la mia selezione casuale di volumi dagli scaffali mi aveva regalato la frase che mi aveva impedito di interrompere la mia ricerca. Che ci fosse qualcuno alle spalle di tutto quello che stavo vivendo era chiaro da un pezzo, ma a questo punto mi sentivo la protagonista di una storia. Erano le mie azioni che davano forma alla narrazione che stavo vivendo, eppure qualcuno aveva già previsto tutto e mi costruiva intorno dei mondi con cui giocare. Chi era? E perché Lo faceva? 

Carica di domande, ho preso la chiave e sono tornata nel ventitreesimo esagono. Da lì, ho seguito a ritroso la strada verso la Quarta Porta, tenendo in mano il filo passo passo e facendone un’enorme matassa che mi sono riportata a casa, come ricordo.

Quando sono riemersa, a casa era passata quasi una settimana. Ho trovato Giacomo preoccupato e anche un po’ arrabbiato perché me n’ero andata nottetempo senza condividere con lui la scelta. Leonardo, invece, ha mantenuto un inaffondabile ottimismo, grazie al quale ha vissuto in un suo mondo parallelo, giocando con le costruzioni quasi tutto il tempo. La cosa più strana è che uno degli scenari che ha costruito con i Lego era proprio quello di un esagono, con all’interno quelli che, evidentemente, sembrano scaffali di una biblioteca carichi di libri. Gli ho chiesto come gli fosse venuta quell’idea e mi ha confessato che ha sognato un fratello maggiore che gli raccontava una storia sulla mamma rinchiusa in una biblioteca infinita a forma di esagono. Visto che in tutta questa storia non c’è troppo spazio per le coincidenze, abbiamo ora un altro elemento: chi è questo “fratello maggiore”? Come ha fatto Leonardo a sognare esattamente quello che stavo vivendo, senza averne il benché minimo sentore? Le teorie che mi vengono in mente sono tutte fallaci, perché in qualche modo non corrispondono alla realtà. Ho pensato che forse, in passato, mi ha sentito parlare con qualcuno della Biblioteca di Babele, ma sono piuttosto sicura che non sia mai successo. Oppure ha forse trovato il libro di Borges sul mio tavolo nello studio? Ma non sa leggere, quindi… Certo, abbiamo molti libri sui labirinti a casa, uno dei quali è per bambini e contiene anche un labirinto fatto di libri, però… Non so darmi una spiegazione, ma tutti questi pezzi di un puzzle di cui non capisco la figura complessiva affollano la mia testa e mi tengono occupata.

Mi tengono così occupata che non penso nemmeno troppo alle assurdità del mondo di questo periodo: stare “via” una settimana comporta che quando torni ci sono moltissime notizie da recuperare, decreti, bozze, fake news, news reali, approfondimenti. Quello che mi lascia più interdetta, ora come ora, è il fatto che si parla di “riapertura” e di “ritorno a una nuova normalità”, ma non mi spiegano come faremo noi che abbiamo un figlio a casa da scuola. Scuola che, nella migliore delle ipotesi, riaprirà a settembre, nella peggiore no, e si procederà con la DaD, la fantomatica Didattica a Distanza. Certo, come no, non riusciamo nemmeno fare una videochiamata fluida con i nonni, la nostra rete va ottimisticamente a 2 MBit/s in download  e zerovirgola in upload, ma dobbiamo fare didattica a distanza. L’esperienza della videochiamata è così frustrante e angosciante che, anziché costituire una finestra sul mondo, per me è diventata sinonimo di angoscia, problemi tecnici e travasi di bile. Ecco, in questo momento mi sento un po’ abbandonata: ho fatto tutto quello che mi è stato chiesto, ho rispettato le regole, a modo mio ho anche cercato di contribuire distraendo le persone da quanto sta succedendo nel mondo con i racconti delle nostre avventure. Sono stata ligia, ho evitato di diffondere fake news sui social network, ho letto molti quotidiani online, ma ho pagato per farlo, ho incoraggiato le persone intorno a me ad avere un atteggiamento di fiducia e di rispetto del governo, ma ora mi sento sola. Mi sento più sola di quando mi trovavo nella Biblioteca infinita,  nel silenzio totale dei volumi appoggiati sugli scaffali e degli esagoni vuoti. Mi sento sola, perché per l’ennesima volta alla mia generazione è chiesta l’intraprendenza e il sacrificio di capire come reinventarsi in un tempo di crisi: noi, che siamo cresciuti con un totale cambio di paradigmi sociali e professionali e ci siamo adoperati in ogni modo per comprendere e assecondare questo cambiamento, ci troviamo di nuovo davanti a un sovvertimento totale, e siamo di nuovo lasciati soli a capire cosa fare e come farlo.

Penso anche a cosa significa per me, come donna, vivere questo periodo storico: significa avere il timore di affrontare un nuovo Medioevo, in cui la donna sta in casa, pensa al focolare e ai figli, mentre il marito esce a procacciare affari e a cercare di mantenere la baracca. Penso che non è quello che mi è stato insegnato, che non c’è traccia dell’emancipazione a cui sono stata chiamata per tutta la vita, che non c’è più spazio per le mie ambizioni.

Questa doccia fredda di pessimismo, tornata dalla biblioteca, mi ha scaraventato a letto con un’emicrania fortissima: la luce mi infastidiva e non riuscivo quasi a muovermi, né a parlare. Solo oggi sono riuscita a rimettermi in piedi e a terminare il racconto. Ma che fatica. Che dolore. E che paura di essere dimenticata: non dentro una Biblioteca immaginaria, ma nel mondo reale.

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