Aprile 15 2020

Giorni 32-33-34 – La Quarta Porta – Parte 1

Solo ora mi rendo conto che è stato un colpo basso scomparire così, a notte fonda. E mi rendo conto, ancora di più, che molte persone si sono spaventate del fatto che fossi scomparsa. Amici e familiari hanno scritto a Giacomo preoccupati – perché io, ovviamente, non rispondevo, visto che ero nella Quarta Porta. 

Ora che sono tornata, però, posso affermare con sicurezza che andare là dentro da sola fosse proprio quello di cui avevo bisogno. Quello che mi è successo lì dentro è stato sublime, e con questo termine mi riferisco al Sublime secondo Schopenhauer: ho vissuto cioè un’esperienza potente e sconfinata, meravigliosa sì, ma anche in grado di annichilirmi, distruggermi, inghiottirmi.

Ho aperto la porta e mi sono trovata in un luogo che non ho riconosciuto immediatamente, anche se avrei dovuto. Ero in una sala esagonale, con venticinque vasti scaffali, cinque su ogni lato tranne su due, tutti alti come l’intera stanza. Sui lati liberi si trovavano due angusti corridoi, che portavano ad altre due sale, in tutto identiche a quella in cui mi trovavo. A destra e a sinistra del corridoio c’erano due minuscoli stanzini: uno per dormire in piedi, l’altro per soddisfare le necessità fisiologiche. Al centro del corridoio, da una parte, passava una scala a spirale che si inabissava e si innalzava nel remoto. Sempre nel corridoio tra le due stanze esagonali, opposto alla scala, si trovava uno specchio, per duplicare fedelmente le apparenze. La luce proveniva da due lampade per esagono, collocate su una traversa sospesa a mezza altezza: era insufficiente per leggere e incessante. 

Come prima cosa, ho esplorato la seconda sala: identica tutto e per tutto alla prima, e quindi con un corridoio che procedeva ulteriormente oltre, verso un’altra sala esagonale. Sono tornata sui miei passi e ho imboccato la scala, scendendo di un livello: sotto si ripeteva identica la struttura che avevo appena lasciato. Esagono, corridoio, esagono, corridoio, esagono corridoio… e la scala a chiocciola continuava la sua discesa. Lo stesso avveniva verso l’alto. 

Sono tornata nella stanza dove si trovava la Quarta Porta, al posto di uno degli ingressi degli stanzini nei corridoi. Ovviamente, a questo punto avevo ben capito dove mi trovavo ed era fondamentale per la mia sopravvivenza e per poter tornare a casa non dimenticare per nessuna ragione al mondo quale fosse l’esagono originale in cui ero arrivata, da cui ero partita. Ho provato immediatamente una sensazione di vertigine. Chiunque conosca la Biblioteca sa che è infinita, anzi per meglio dire, illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la attraversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Quindi io mi trovavo lì, in un punto indefinito di una Biblioteca illimitata. 

Mi sono avvicinata agli scaffali: a ciascuna parete di ciascun esagono corrispondevano cinque scaffali: ciascuno scaffale conteneva trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro era di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero. Lettere puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche. Vi erano delle lettere anche sulla costola di ciascun libro; non, però, che indicassero ciò che contenevano le pagine. 

Ho fatto la cosa più ovvia e che chiunque nei miei panni avrebbe fatto: ho preso un libro a caso, scelto alla mia altezza tra le migliaia di libri di quella stanza. Era esattamente come me lo aspettavo: il numero dei simboli ortografici contenuti nel libro era di venticinque, ventidue lettere, il punto, la virgola e lo spazio. Tutte le quattrocentodieci pagine del libro erano ricolme di quei simboli, combinati in modo completamente casuale riga dopo riga, pagina dopo pagina. Ho rimesso il libro in ordine e ne ho preso un altro, e poi un altro, e un altro ancora. Sebbene il campione dei miei tentativi fosse estremamente limitato, era chiaro che la Biblioteca fosse un luogo totale, e che i suoi scaffali registrassero tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato esprimere in tutte le lingue.

Se si pensa di trovarsi in una Biblioteca che comprende tutti i libri, la prima impressione è di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirebbero padroni di un tesoro intatto e segreto. Non vi è problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esista: in un qualche esagono. L’universo è giustificato, l’universo attinge bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. Alla speranza smodata, però, succede un’eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d’un qualche esagono celi libri preziosi, che questi libri preziosi siano inaccessibili, pare quasi intollerabile.

Potrebbe esserci, per dire, un libro in cui si narra di come andrà la pandemia che stiamo vivendo ora, noi, nel nostro mondo. Un libro che racconti quello che è necessario fare per tornare a una vita normale, ma anche semplicemente cosa significherà, in futuro, “normalità”. Potrebbe esserci un libro sulla mia vita, su quello che farò, sui miei successi e i miei fallimenti. Diciamo un intero volume sui miei fallimenti e forse, in una nota a piè di pagina, qualche traguardo raggiunto. Magari potrebbe dirmi anche quando morirò. Come morirò.
Mentre pensavo tutto questo, mi è venuto in mente che se mi fossi allontanata troppo dalla Quarta Porta avrei certo potuto perdermi, in quel costrutto speculare e infinito della Biblioteca. Tuttavia, non potevo esimermi dal muovermi da lì, perché dovevo cercare la Quinta Chiave. E anchce perché visitare la Biblioteca di Babele non è un privilegio che viene dato a tutti. Come fare? Ho pensato che non conoscevo nessuna delle regole di quel posto e che quindi dovevo creare un sistema “ridondante” per segnalare a me stessa l’esagono originale e la presenza della Quarta Porta al posto della porta della latrina. Ho deciso di mettere in atto tre stratagemmi.

Il primo è stato, semplicemente, prendere un libro da uno degli scaffali e appoggiarlo davanti alla porta. Questo mi avrebbe permesso di riconoscere la porta quando l’avessi rivista.

Il secondo è stato quello di scucire uno dei fili dello scialle grigio che indossavo e di legarlo alla maniglia della Quarta Porta. Avrei continuato a spostarmi per la Biblioteca finché lo scialle non si fosse esaurito, e poi avrei pensato a qualcos’altro, ma in questo modo avrei potuto ritrovare la strada dell’uscita semplicemente ripercorrendo i miei passi, senza paura di sbagliare.

Il terzo è stato prendere un libro da ciascuna stanza che visitavo e aprirlo sul numero progressivo di pagina corrispondente a quello dell’esagono che visitavo. Quindi, nel primo esagono ho aperto un libro alla pagina 1, nel secondo alla pagina 2, e così via.

In questo modo, avevo creato un sistema triplice di ridondanza di informazioni, e se uno di essi avesse fallito, avrei comunque potuto usare uno degli altri.
Ora dovevo capire come trovare la Quinta Chiave. Certo, partivo chiaramente dal presupposto che fosse quello il motivo per cui mi trovavo lì e, anche senza nessuna base logica per pensarlo, sentivo come la sensazione che la logicità delle mie azioni, appunto, non aveva poi tutta questa importanza, in quel posto: qualsiasi cosa avessi fatto, mi avrebbe infine portato a ottenere la chiave. È stato un mezzo choc per me, perché proprio prima di entrare lì dentro mi ero persa nella disperazione dell’ingiustizia della vita, e di come non ci siano regole che, se rispettate, ti danno un risultato certo. Mi trovavo ora in un posto in cui mi sembrava valere esattamente la legge opposta: non c’è logica, non c’è criterio, non c’è Ordine, ma c’è sicuramente salvezza. Molto, troppo vicino al concetto di religione per lasciarmi serena. 

Ho cominciato a vagare per gli esagoni: è inutile che vi descriva l’ordine in cui li ho percorsi, perché non essendoci indicazioni di alcun tipo, sceglievo ogni volta puramente a caso, a istinto. Negli esagoni, estraevo sempre dei libri a caso e ne sfogliavo le pagine. A titolo esemplificativo, riporto alcune delle cose che ho letto:

“dhcmrlchtdj”

“swpql sofgleogj swdfgowl sgoqmskgn”

“Oh tempo le tue piramidi”

Ne ho anche trovato uno in cui, dalla prima all’ultima pagina, si susseguivano solo i simboli MCV, ininterrottamente.

In pratica, per una notizia corretta, si trovavano leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze. Per noi che conosciamo Internet, però, non è un fenomeno poi così traumatico. Quanta informazione c’è, là fuori? Quante fotografie di gatti, quante bozze di decreto, quanti diari scritti da gente in clausura, quanti articoli di giornali, lettere, post di Facebook, quanto di tutto c’è, in giro, e quanto è falso e insensato? È tutto falso e insensato, in un modo o nell’altro, con più o meno onestà. La scrittura è falsità. La produzione di copie è falsità. Tutto quello che succede è falsità, perché nemmeno sull’interpretazione dello stesso fatto vissuto in contemporanea da due persone possiamo trovare veramente un accordo. Allora, magari io mi immagino che qualcuno mi odi, perché fa un gesto che mi sembra di stizza. Oppure fantastico per giorni su un amore impossibile, perché interpreto la realtà in base a criteri falsi. O magari non è così. Magari quei criteri sono veri, ma la falsità sta nelle persone, in quello che dicono, in quello che ammettono. 

Trovarmi nella Biblioteca avrebbe dovuto gettarmi nel panico, o privarmi di qualsiasi voglia di agire, perché nell’enormità del numero di 25^656000 sta la totale impossibilità di ottenere alcun risultato. Questa consapevolezza, però, su di me ha avuto l’effetto totalmente opposto. Come questa pandemia mi ha dato la scusa di restare finalmente chiusa in casa a scrivere, che è poi quello che ho sempre sognato di fare fin da piccola, anche l’infinito numero dei libri e la concreta impossibilità di trovare anche solo un volume con una o due pagine scritte con senso – o semplicemente in una lingua o un codice che io sia in grado di decifrare – mi lascia completamente indifferente e mi fa scattare la spensieratezza. 

Uno potrebbe pensare che la mancanza di regole, la mancanza di un senso, ci possa portare a comportarci come vogliamo. A dare di matto. A fare follie. Ma non è così. È nella mancanza di regole che si vede chi siamo. Io avrei potuto rovesciare migliaia di volumi per terra, strappare pagine, rovesciare scaffali, e invece ho fatto quello che mi sembrava più consono, e cioè ho preso, con calma, un libro alla volta, in ogni esagono che ho visitato. L’ho fatto senza un criterio, l’ho fatto seguendo l’istinto. Vedevo un libro e decidevo che era quello era il prescelto. Poi il mio sguardo ne incrociava un altro, e allora decidevo che toccava a quell’altro. Avevo un piccolo taccuino di carta, con me, e ho cominciato a segnare su ogni pagina, il libro che avevo scelto in ogni esagono.

Esagono 01 – Scaffale A – Libro 1
C

Esagono 02 – Scaffale C – Libro 2
ON

Esagono 03 – Scaffale D – Libro 3
T

E così via. Di ogni libro, segnavo le lettere incise sulla costa. All’inizio ho cercato di seguire un senso (Esagono 01,  Libro 01), ma presto mi sono stancata e ho cominciato a prenderli totalmente a caso. Ogni volta che prendevo un libro, lo sfogliavo tutto con attenzione, scorrevo le pagine, e cercavo qualche frase al suo interno.
A volte ne ho trovate alcune di senso compiuto, come ad esempio:

“scopre con piacere un’etimologia”

“L’apocalisse di Adamo”

“Joseph va dietro la casa, nell’orto, Lucas lo segue.”

“Presto diventarono un’ossessione”

Ho proseguito a lungo: avrei poi scoperto che era passato molto meno tempo di quello che io avevo soggettivamente percepito. Ho visitato 23 esagoni, in ognuno di essi ho preso un libro e l’ho sfogliato per un tempo indefinito. A volte mi fermavo poco, a volte di più. Sono riuscita a ricostruire il numero di ore “reali” che ho passato lì dentro solo una volta ritornata a casa: 12 ore nella Biblioteca, che nella realtà si sono trasformate in 6 giorni. La parte più strana è però sicuramente il fatto che io ho dedicato ben più di mezz’ora a esagono, ben più di mezz’ora a libro. Nella mia percezione personale, sento di essere stata via molto di più, forse uno o due giorni. Non ho modo di ricostruirlo, perché nella Biblioteca non c’era luce del sole e non si poteva calcolare il passare del tempo, quindi tutto è deputato a quello che io ricordo di aver vissuto. Ma non sono state 12 ore, per me sono state molte di più.

A volte mi sembra di esserci rimasta per anni, lì dentro. Mi sembra di essere invecchiata, esplorando esagoni tutti uguali. Mi sembra di aver dimenticato mio figlio, la mia famiglia, la vita a cui appartenevo prima, e di essere rimasta lì a vivere, alla vana ricerca della Quinta Chiave.

Già, la Quinta Chiave, dov’era? L’unica vera angoscia che provavo era di non riuscire a trovarla. Sarebbe arrivato infatti il momento di tornare indietro, non potevo restare lì dentro per sempre. Il mio scialle si stava per esaurire e con esso il filo che mi poteva condurre fuori da lì. Giacomo e Leonardo sembravano, nella Biblioteca, un ricordo sbiadito, come se non avessero più importanza. Ma quando chiudevo gli occhi, in uno degli stanzini bui per riposare un po’, vedevo solo loro due, solo immagini di noi insieme.

Avevo percorso poco più di venti esagoni ed ero esausta. Come dicevo, il tempo non aveva più senso, mi sembrava di essere sveglia da giorni, ma mi pareva anche che fosse passato poco tempo da quando ero entrata dalla porta, o tantissimo. Ogni tanto dormivo in uno degli stanzini, ma non so se l’ho fatto davvero o l’ho solo immaginato. E non so per quanto ho dormito. Arrivata al ventitreesimo esagono, il filo dello scialle mi è terminato tra le mani. Non potevo proseguire oltre, o non avrei avuto modo di tornare indietro. Mi sono seduta per terra, con la schiena appoggiata a uno scaffale, e ho scorso a ritroso tutti i numeri e le lettere che avevo segnato sul taccuino.

Non c’era nessun senso. Ero pronta a rinunciare e a tornare indietro.

Esagono 01 – Scaffale A – Libro 1
C

Esagono 02 – Scaffale C – Libro 2
ON

Esagono 03 – Scaffale D – Libro 3
T

Esagono 04 – Scaffale B – Libro 13
L

Esagono 05 – Scaffale A – Libro 16
ROS

Esagono 07 – Scaffale A – Libro 6
A

Esagono 08 – Scaffale A – Libro 20
ES

Esagono 09 – Scaffale B – Libro 14
Spazio vuoto

Esagono 10 – Scaffale D – Libro 23
NO

Esagono 11 – Scaffale D – Libro 10
O

Esagono 12 – Scaffale A – Libro 15
P

Esagono 13 – Scaffale D – Libro 4 
I

Esagono 14 – Scaffale C – Libro 21
AG

Esagono 15 – Scaffale C – Libro 12
A

Esagono 16 – Scaffale B – Libro 5
NU

Esagono 17 – Scaffale A – Libro 22
O

Esagono 18 – Scaffale C – Libro 11
Spazio vuoto

Esagono 19 – Scaffale B – Libro 8
F

Esagono 20 – Scaffale D – Libro 7
Spazio vuoto

Esagono 21 – Scaffale A – Libro 18
MO

Esagono 22 – Scaffale D – Libro 17
SI

Esagono 23 – Scaffale A – Libro 9
IN

E qui, per oggi, mi fermo. Perché dopo tutta quella fatica, davanti a numeri e lettere senza senso, stavo per perdere la speranza. Anzi, l’avevo persa. Quella magnifica sensazione che avevo avuto all’inizio, e cioè che ogni mio gesto mi avrebbe accompagnato verso la Quinta Chiave, stava sfumando e mi sono anche sentita molto stupida per averla provata. Non c’è giustizia. Non c’è ecosistema di regole. Non c’è modo di vincere.

Il banco – la vita, il caos, l’entropia – vincono sempre.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *