Marzo 30 2020

Giorni 21/22 – La Seconda Porta – Parte 2

Non ci siamo accorti subito che c’era qualcosa di strano perché stavamo ancora parlando animatamente di tutte le possibili ipotesi su quanto ci stava accadendo. E forse anche perché erano passate tre ore, dal nostro arrivo lì, e la luce dei luoghi era cambiata. 

Fatto sta che abbiamo attraversato tutto il tunnel di rami dopo la fontana, quello dove ci eravamo fermati a fare merenda ore prima, senza accorgerci di niente.

Solo quando siamo arrivati al vialetto con la siepe ci siamo resi conto che lo scenario sembrava lo stesso, ma era diverso. Quando abbiamo imboccato il sentiero che conduceva alla Seconda Porta, ne abbiamo avuto la certezza.

Era tutto simile, ma non uguale. Siamo comunque arrivati alla Seconda Porta. Solo che la chiave non entrava più e non c’era modo di aprirla con nessuno sforzo. Giacomo l’ha presa a spallate, io ho provato a vedere se riuscivo a forzare la serratura, niente. Una specie di muro inamovibile.

È stato a quel punto che abbiamo guardato per terra e ci siamo accorti che non c’erano i puntini rossi. Ci avevano accompagnato per tutto il giorno, dov’erano finiti? Abbiamo fatto l’unica cosa possibile, in quel momento, e cioè ci siamo messi a ripercorrere a ritroso i nostri passi. Sentiero, vialetto, tunnel. Niente. Arrivati alla fontana, io e Giacomo eravamo visibilmente preoccupati, mentre Leonardo era solo intento a cercare quei dannati puntini. È corso avanti, sempre prima di noi, e quando siamo arrivati nella radura della fontana il nostro errore è stato evidente. Evidente e inspiegabile. Accanto al nostro vialetto c’era un altro vialetto. Identico in tutto e per tutto. Adiacente, direi praticamente speculare. Come due stradine che si addentravano parallele nel giardino. Noi ci trovavamo su quella di sinistra, e sulla nostra destra vedevamo ora questa specie di immagine riflessa allo specchio della stradina in cui ci trovavamo noi, ma senza la nostra immagine dentro. Stessi fiori, stessi fili d’erba, stesso tutto. Uguale e specchiata. E lì cerano i puntini rossi. Per entrare nella stradina, non abbiamo potuto attraversare “lo specchio”. Siamo dovuti tornare fino alla fontana e, da lì, abbiamo dovuto imboccare il vialetto giusto. Cosa non facile, visto che dalla prospettiva della fontana il vialetto sembrava uno solo! Ma muovendo due passi appena, cambiava qualcosa nell’ordine delle cose, delle piante, della luce, non so spiegarlo, e i vialetti diventavano due.

Avevo il cuore che batteva a mille, ora dovevamo verificare che la nostra intuizione fosse giusta, e che non ci trovassimo ancora sul vialetto sbagliato – una terza “versione”, magari. Per fortuna siamo riusciti a raggiungere la Seconda Porta. Siamo usciti, abbiamo chiuso diligentemente e siamo tornati a casa. Avevamo passato cinque ore nella Seconda Porta. Nel nostro mondo era l’1.00 di notte di domenica 29 marzo. Eravamo partiti alle 20.00 di venerdì 27 marzo.

Erano passati quindi quasi due giorni e mezzo. Eravamo esausti tutti e tre. Senza nemmeno farci la doccia, ci siamo messi il pigiama e ci siamo addormentati insieme nel lettone, forse perché avevamo vissuto qualcosa di così intenso, forse perché ci eravamo anche un po’ spaventati, ma è stato bello così. Lunedì ci siamo svegliati e abbiamo cercato di recuperare il tempo perso. Ci siamo lavati, abbiamo pulito casa, ma abbiamo anche letto le notizie degli ultimi giorni. È stato surreale, ad esempio, vedere l’immagine del Papa che ha parlato davanti alla piazza di San Pietro completamente vuota.

Un’immagine così è quasi più assurda di quello che abbiamo vissuto noi nel tunnel. È una scena che nel nostro immaginario si avvicina all’apocalisse, o al momento più drammatico che “i nostri eroi” vivono durante la loro avventura, quel momento in cui per l’umanità sembra non esserci scampo. Io non ho un gran rapporto con la religione, la trovo affascinante da un punto di vista narrativo e antropologico, ma non riesco a credere in niente, nemmeno in quello che vedo. E però questa immagine è una delle mie preferite fino ad ora, più delle città deserte, più della natura che si riprende i suoi spazi ora che l’uomo è rintanato in casa e ridotto ai minimi termini, anche più di tutti i medici e gli infermieri con i volti marchiati dalle mascherine, o dei camion che partono da Bergamo carichi di cadaveri.

Siamo stati poi sommersi da questioni burocratiche, autocertificazioni nuove, moduli vecchi, regole che valgono per i cani ma non per i bambini, bonus per le partite IVA ma il sito web non va, e tutti i materiali di Solidarietà Digitale che ancora non sono disponibili, quindi mi chiedo esattamente con chi diavolo siano solidali. Forse con la loro immagine e il loro marketing. Non lo so, certo non con me.

La sera di lunedì ho rispolverato un fantastico cavallo di battaglia di quando ero piccola: il NES! Ho una versione digitale, più recente, che si chiama Nintendo Classic Mini, così posso conservare intatta la mia versione originale con le cartucce. L’ho messa a disposizione di Leonardo, che ha cominciato a giocare a Super Mario Bros, quello del 1986. Ha subito notato che era un gioco “più difficile” di quelli a cui è abituato lui, su smartphone o su Switch, ma molto, molto più gratificante. Solo in un punto si è bloccato, anche piuttosto avanti: nel livello 7-4. Lì non è riuscito ad arrivare a Bowser, perché si è perso nel castello.

Che strano, ho pensato. Che strano ritrovarsi qui, bloccati nel livello 7-4 di Super Mario Bros proprio oggi. Per fortuna, dopo trentacinque anni, ricordo ancora come uscirne. Ma non lo dirò a Leonardo: deve scoprirlo da solo. Io ricordo ancora la sensazione che ho provato, quando trentacinque anni fa ho affrontato questo livello, mi ci sono scervellata e alla fine l’ho superato. Una sensazione che penso di aver provato, in modo diverso, anche ieri, quando ci siamo “persi” dentro la Seconda Porta. Che strano. Ma che bel ricordo.

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